Quello che ascoltiamo oggi è il risultato di un lavoro di recupero, assemblaggio, completamento e parziale orchestrazione che dobbiamo a Rimskij-Korsakov e soprattutto a Glazunov.
Il principe Igor – opera di rara presenza in Italia, tanto che torna oggi al Teatro Verdi di Trieste dopo ben 36 anni di assenza - tenne occupato Aleksandr Borodin in maniera discontinua, a più riprese, dal 1869 al 1887. Un iter creativo interrotto dalla morte, lasciandoci una partitura frammentaria ed incompiuta.
Quello che ascoltiamo oggi è il risultato di un lavoro di recupero, assemblaggio, completamento e parziale orchestrazione che dobbiamo a Rimskij-Korsakov e soprattutto a Glazunov, il quale ricostruì a memoria l'Ouverture ed inventò di fatto – sulla base di pochi frammenti superstiti – l'intero terzo atto.
Risultato da più parti contestato, ma che per la sua complessità solo Pavel Lamm - il cui lavoro è tuttora inedito - ha osato riaffrontare. Unica eccezione, il tentativo di rielaborazione svolto da Valery Gergiev nel 1993 con le maestranze del Teatro Kirov. Sia come sia, Il principe Igor che conosciamo è pur sempre un affresco teatrale di splendente bellezza benché discontinuo, basato su una partitura sui generis della quale vanno apprezzati i singoli episodi, dai monumentali episodi corali alle magnifiche arie solistiche. Mentre le rutilanti Danze polovesiane vanno prese così come sono, cioè un ammaliante esempio di kitsch fine Ottocento.
Una produzione di stampo ottocentesco
In questa produzione triestina, proveniente quasi in toto dal Teatro Accademico Nazionale di Odessa, il terzo atto di Glazunov, decisamente spurio, non c'è. I principali pregi dell'allestimento stanno nei variegati e dettagliatissimi costumi, e nella notevole prestazione del suo Corpo di Ballo diretto da Yuri Vasyuchenko.
Quanto all'impianto registico di Stanislav Gaudasinsky, ripreso da Pavlo Koshka, appare troppo statico, oltre che decisamente datato: privo di approfondimento nei personaggi trattati al pari di maschere, si limita a regolarne le presenze in scena ed a sistemare ben bene le masse nelle ampie, classicissime scenografie di Tatiana Astafieva. Nulla di più. Uno spettacolo opulento ma didascalico, osservante della tradizione sin al limite della filologia. Assai prossimo, crediamo, a quanto si poteva vedere nei teatri di Pietroburgo o Mosca a cavallo tra i due secoli.
Un cast che arriva dalle sponde del Mar Nero
Dirige con polso saldo e serrata visione d'insieme Igor Chernetski, che trae dall'Orchestra del Verdi precisione, giusto stile, abbandono lirico e discreta varietà di colori. Anche il Coro, che vede la partecipazione mista della compagine di Odessa e di quella triestina, si disimpegna bene nelle grandiose pagine corali. Nel cast brilla il baritono Viktor Mityushkin, Igor dai tratti nobili ed imponenti, padrone della scena con un accorto fraseggio, bel colore ed un suono ben proiettato in avanti. Al contrario il suo antagonista – Vladimir Galitsky – non trova abbastanza forza e sostegno nella corta ed affannata vocalità del basso-baritono Dmitry Pavliuk.
Nell'affrontare Jaroslvna il soprano Anna Litvinova alterna pieni e timbrati suoni centrali, che rendono a dovere la drammaticità del personaggio, a perigliose salite agli acuti; il mezzosoprano Kateryna Tsymbalyuk tratteggia molto bene, con limpido fraseggio, un'appassionata, vellutata e morbida Konchakovna. Superbo vocalmente ed incisivo nel carattere il Kontchak del giovane basso Viktor Shevchenko; un timbro aspro e nasaleggiante non giova al Vladimir Igorevich del tenore Vladislav Goray, benché la linea di canto, molto impegnativa in alto, sia affrontata senza incertezze. La comicità truffaldina di Eroska e Skulà viene efficacemente risolta da Alexander Prokopovic e Yuri Dudar. Parti di fianco consegnate a Viktor Muzychko (Ovlur), Alina Vorok (fanciulla polovelese), Irina Kamenetskaya (la nutrice).