Lirica
IL SOGNO DI SCIPIONE

Mozart si nasce, non si diventa: “Il sogno di Scipione” per la prima volta a Venezia

Il sogno di Scipione
Il sogno di Scipione © Michele Crosera

Il sogno di Scipione è un lavoro di Mozart convenzionale, nel quale si avverte l'influenza di J. C. Bach, esponente di spicco del cosiddetto “stile galante”.

Mozart sarebbe comunque stato Mozart, anche se non avesse scritto Il sogno di Scipione, “azione teatrale” che ci viene proposta dalla Fondazione La Fenice di Venezia al Teatro Malibran, per il Carnevale 2019.

Questa composizione dal tono celebrativo, intonata su testo del Metastasio, il giovane Wolfgang la compose tra aprile ed agosto 1771, dunque prima di scendere in Italia con il padre, allo scopo di festeggiare a tempo debito il mezzo secolo di sacerdozio del principe-arcivescovo salisburghese Schrattenbach. Dato che questi passò anzitempo a miglior vita il 16 dicembre, giusto al rientro dei due Mozart a casa. Leopold allora pensò bene di utilizzare la partitura – mutando ovviamente il nome del destinatario - per celebrare nel palazzo di corte l'insediamento ufficiale del successore, Hieronymus Von Paula di Colloredo, nel maggio del 1772. Così almeno vuole la tradizione.


Una partitura dai tratti acerbi

Il sogno di Scipione è un lavoro ovviamente convenzionale, un po' acerbo e privo di sincera ispirazione, nel quale si avverte - come in tanti lavori mozartiani prima della decisiva svolta impressa dall'Idomeneo - l'influenza di J. C. Bach, esponente di spicco del cosiddetto “stile galante”. Nondimeno vi spicca uno strumentale ricco, levigato e brillante – d'un livello sorprendente in un compositore appena quindicenne – che sottende una decina d'arie pensate con fresca e buona inventiva melodica, benché non sempre dotate di vera pregnanza drammatica.

In questo senso, l'elegante concertazione di Federico Maria Sardelli – alla guida di un'Orchestra della Fenice opportunamente snellita nelle file – ha fatto miracoli, arricchendo di intensità strumentale e varietà di colori una partitura teatrale di modesto interesse. E' il risultato che ci aspettavamo da un direttore (nonché straordinario musicologo) che nel repertorio sei-settecentesco guizza agile come una trota nel torrente. Al cembalo, il bravo Luca De Marchi.

Non entusiasma il tenore Valentino Buzza nel ruolo eponimo, per modestia di voce e monotonia d'accenti; assai meglio l'espressiva Fortuna di Bernarda Bobro, e soprattutto la dolce e musicalissima Costanza di Francesca Boncompagni. Funzionano bene le parti a latere: il Publio, di Emanuele d'Aguanno, l'Emilio di Luca Cervoni; un po' meno la vocina che sostiene la Licenza di Rui Hoshina.


Pensata per un palazzo, approda sul palcoscenico

Come tutte le composizioni celebrative destinate ad esecuzioni “domestiche”, Il sogno di Scipione non prevede scenografie, al massimo dei costumi consoni ai singoli ruoli. Che sono il condottiero Scipione Emiliano, al quale in sogno appaiono il padre (Emilio), un avo adottivo (Publio), e due figure allegoriche, Fortuna e Costanza. Una di esse dovrà essergli guida ideale: superando ogni dubbio, sceglierà saggiamente la seconda. L'allestimento che vediamo è frutto di due laboratori di studio della Scuola di Scenografia e Costume dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, nell'ambito del rodato progetto “Atelier della Fenice al Malibran.

Hanno lavorato in tanti, coordinati da bravi insegnanti, sui bozzetti di Francesco Cocco (scene) e Davide Tonolli (costumi), allievi dell'istituto veneziano. Il progetto registico è stato coordinato con pazienza e passione da Elena Barbalich, altra loro docente. Un bel lavoro di squadra che ha dato vita ad uno spettacolo vivido, che mescolando colorati spunti rococò (in taluni immaginifici costumi, in certi oggetti) alla modernità dei materiali (plastica trasparente, neon, metallo) conferisce un'impensabile carica di teatralità ad un soggetto cattedraticamente celebrativo e di per sé alquanto statico.

Visto il 12-02-2019
al Malibran di Venezia (VE)