Lirica
LA STATIRA

Riprende vita un melodramma di Tomaso Albinoni: “La Statira”

La Statira
La Statira © Michele Crosera

Ha ripreso vita al Teatro Malibran di Venezia La Statira, 'dramma in musica' intonato su versi di Apostolo Zeno e Pietro Pariati creato a Roma nel 1726.

Con la revisione di Franco Rossi, ha ripreso vita al Teatro Malibran di Venezia, nell'ambito del consolidato rapporto di collaborazione tra la Fondazione La Fenice ed il Conservatorio “B. Marcello”, La Statira, 'dramma in musica' intonato su versi di Apostolo Zeno e Pietro Pariati creato a Roma nel 1726, ed approdato a Venezia quattro anni dopo.

Si riteneva fosse Zenobia – esordio teatrale di Tomaso Albinoni – l'unico melodramma superstite della cinquantina da lui scritti, dato che le relative partiture originali, conservate a Dresda, andarono distrutte nei bombardamenti del 1945. In realtà, alla Nationalbibliothek di Vienna s'è conservata anche una copia d'uso de La Statira.

L'incontro con un pubblico di giovani

La trama è un mero pretesto per la solita serie di recitativi, arie e qualche breve pezzo a due o a tre. Il trono di Persia, lasciato vacante dal defunto Artaserese, viene conteso - con relativi intrighi politici ed amorosi - fra la virtuosa Statira, fidanzata ad Arsace, e la perfida Barsina. Farà da arbitro il saggio Oronte, sovrano degli Sciti, che individua in Statira la più degna erede.



La versione qui offerta - meno di due ore di musica, senza pause – sconta notevoli tagli nei recitativi, qualche aria in meno e qualche sacrificio nei da capo. Interventi volti ad ottenere uno spettacolo non troppo impegnativo, adatto agli allievi degli istituti superiori della città che ne sono stati i primi fruitori. Ascoltatori pazienti, devo dire, ma non certo usi alla durata d'un 'vero' melodramma barocco.

Un melodramma ligio alle convenzioni dell'epoca

La Statira è partitura più matura e curata rispetto a Zenobia; e tuttavia meno fantasiosa e più compassata, pur conservando comunque la ricchezza cromatica tipica della scuola veneziana. Si percepisce come sia qui sopraggiunta la soggezione alle leggi non scritte del melodramma barocco: norme che misero le briglie alla libera inventiva di librettisti e compositori, codificandone struttura, convenzioni e 'convenienze'.

I tre ruoli principali alla prima erano affidati a castrati, scelta d'obbligo nella Roma di quei tempi. Ricopriva quello del titolo un sopranista di cartello, Gaetano Valletta. Spiccano in Statira due vere perle musicali: la tenera aria in 12/8 delle protagonista «Senti amore», dalle volute melodiche squisitamente lagunari; e quella di Arsace prigioniero «Vien con nuova orribil guerra», dal turbinoso puntello dei fiati. Un brano dalle ardue coloriture, conservatosi in sede concertistica.


Giovani talenti alla prova

Dal Conservatorio veneziano proviene l'Orchestra Barocca, ensemble duttile e preciso guidato da Francesco Erle con profonda coscienza di stile, accompagnata da fresca ariosità, giusto peso strumentale, fantasiosa scioltezza teatrale. E dalle sue aule - progetto Opera Studio - esce il gruppo di giovani interpreti che trova nell'intensa e appassionata Statira di Lidia Fridman – veneziana a dispetto del cognome – il suo punto focale.

Barsina è il bravo soprano Ligia Ishitani; un notevole Arsace lo dobbiamo al soprano Michele De Coehlo. Oronte è Xi Tianhong: abbastanza destro nel canto, ma troppo sbrigativo nei recitativi; un po' come Yi Hao Duan (Dario). Andrea Gavagnin è un buon Idaspe.

Serrando i personaggi tra due grandi specchi orizzontali – la reggia di Tauris, che con qualche cancellata diviene prigione per Arsace - la regia di Francesco Bellotto conferisce interesse e dinamicità, anche con qualche valido espediente scenico, ad un soggetto di per sé statico. Le scene portano la firma di Alessia Colosso, i bei costumi - candidi per i 'buoni', rossi per i 'cattivi' - sono di Carlos Tieppo le luci di Fabio Barettin.

Visto il 07-03-2019
al Malibran di Venezia (VE)