Ci era stato promesso uno spettacolo senza cime e senza nevi, e così è stato. Ma la Wally della regista tedesca Nicola Raab è sin troppo avara nella sua essenzialità vagamente espressionista.
Chiude i battenti al Teatro Comunale di Bolzano la stagione di Opera 20.21 intitolata Force of Nature, nella quale hanno prevalso come al solito composizioni di assoluta contemporaneità. In questo senso, trovarvi inserita La Wally di Alfredo Catalani assume un duplice significato. Quello di mettere in scena un dramma intriso della forza possente della Natura, in forma di belve, neve, gelo e valanghe. E quello di proporre una partitura a suo tempo anch'essa dai tratti innovativi e sperimentali, nella quale Catalani procedeva nel superamento degli schemi tradizionali, e nell'assimilazione del teatro wagneriano - allora in Italia ancora osteggiato - consegnando all'orchestra significativi squarci narrativi.
E con pochi numeri chiusi, quasi solo pezzi 'di colore', come lo jodler di Walter e la serenata del Pedone. Per il resto La Wally è un lavoro carico di aperture al nuovo, benché talora discontinuo, intriso di quei delicati toni elegiaci sigla caratteristica del compositore lucchese.
Opera dalla difficile vocalità
Ritenuto a torto un'opera verista, il capolavoro di Catalani appartiene al genere fantastico, intriso com'è di spirito noir: vicino cioè a Le Villi e all'Edgar del rivale Puccini. Richiede comunque interpreti 'forti', dalla vocalità un po' spinta, in grado tuttavia di rendere anche la fine melodicità di taluni momenti musicali.
Come Charlotte-Anne Shipley, interprete ideale per il ruolo di Wally: musicalmente finissima, attenta all'accentazione nei declamati, e liricamente espansiva negli ariosi. Il culmine della celebre aria “Ebben, me ne andrò lontana” è così delineato con delicata poesia e finissima calligrafia. Elegante e rifinito è il Gellenr di Ashley David Prewett, solido e di buon spessore drammatico lo Stromminger di Alessandro Guerzoni. Al contrario, l'Hagenbach di Ferdinand von Bothmer risulta vocalmente sforzato nell'accento e stiracchiato nell'emissione: decisamente imbarazzante nella sua inconsistenza vocale. Francesca Sorteni colora con fine acquerello il non facile figurino di Walter; Francesca Sartorato è una buona Afra; Enrico Marchesini un assai espressivo Pedone.
Di fronte a pagine liriche dallo spiccato alito sinfonico, l'Orchestra Haydn, avvezza al grande repertorio strumentale, mette in luce le sue qualità migliori: precisione esecutiva, nitidezza di suono, profondo respiro. Vero è che la guida un abile direttore – Arvo Volmer – che la conosce bene essendone primo responsabile. E che dà segno di comprendere appieno valori e significato di una partitura così raffinata e complessa, evitando ipertrofiche pesantezze e mettendone in luce tutti i lati migliori. Sopra tutto la ricchezza melodica, e l'originalità e la vigoria della scrittura orchestrale. Anche il coro Ensamble Vocale Continuum, preparato da Luigi Azzolini, se la sbriga bene.
Una Wally senza monti e senza ghiacciai
Ci era stato promesso uno spettacolo senza cime e senza nevi, e così è stato. Ma la Wally della regista tedesca Nicola Raab è sin troppo avara nella sua essenzialità vagamente espressionista, in cui prevale una gestualità icastica e talora criptica. Tutta giocata sul binomio bianco/nero, spiazza sin dal primo atto, con coro e personaggi allineati su tre file di panche, che si alzano solo quando è il turno di cantare.
L'intento di fondo sarebbe di recuperare la rocciosa Wally del romanzo della von Hillern, più che quella più emotiva di Illica e Catalani Cosa senza senso, essendo due cose diverse. E' quel genere di teatro che va tanto di moda nei paesi germanici - potremmo dire una Wally alla berlinese -ma che non sempre funziona. Fatto salvo il culmine suggestivo di fine atto primo, nel complesso lo spettacolo gira a vuoto, come girano a vuoto quei due spessi ed alti muri – al loro interno una scala che porta sulla cima – che il coro sposta e fa roteare in continuazione. Unica scenografia praticamente visibile in palcoscenico, ideata da Mirella Weingarten, cui si contrappongono i severi e calligrafici costumi folk di Julia Müer.