Assolutamente delizioso, questo L'elisir d'amore che il regista Pier Francesco Maestrini propone nella stagione autunnale del Teatro Filarmonico di Verona.
Assolutamente delizioso, questo L'elisir d'amore che il regista Pier Francesco Maestrini propone nella stagione autunnale del Teatro Filarmonico di Verona. Non tanto per la collocazione abbastanza inusuale – un qualsiasi borgo del Midwest americano, lungo la mitica Route 66 - quanto per la spontaneità ed il sottile humour con cui storia e personaggi vengono da lui sviluppati.
Allestimento appena messo in piedi dal Maggio Fiorentino, dove è andato in scena a luglio scorso, ma che in realtà vide la luce nel 2012 al Teatro Sloveno di Maribor, e poco dopo ad Opera in Piazza di Oderzo.
Un po' di American Graffiti
Le scene sono di Juan Guillermo Nova: cieli infiniti sullo sfondo, pannocchie di mais in mezzo, una vecchia pompa di benzina davanti; e nel secondo atto, in un clima da rodeo, il classico toro meccanico per intrattenere gli invitati alle nozze. Ad occhio e croce, siamo agli anni '50 o '60 del secolo scorso: il costumista Luca Dall'Alpi fa sfilare lungo la main street procaci ragazze in short pants, barbuti contadini con camice a quadri e bretelle, e relative consorti in gonne lunghe. Stivaloni e cappelli a tesa larga si sprecano, Dulcamara replica il Boss Hogg della serie televisiva Hazzard, Belcore comanda un gruppetto di indisciplinati marines, Nemorino travestito da polletto giallo reclamizza il chiken fried da due dollari di Adinas Road Food. Solo due buffi bonzi sembrano finiti lì per caso, mentre quattro scanzonati ballerini rifanno il verso ai Village People. Spettacolo sciolto e spiritoso, graditissimo al pubblico che ha affollato la sala scaligera.
Luci ed ombre
Della direzione di Ola Rudner c'è poco da dire: prudente sino alla letargia, porta con sé una visione superficiale e priva d'inventiva della splendida partitura donizettiana. Diversità di tinte, sentimentalità, dolcezza e malinconia – quella malinconia un po' sensuale che pervade Elisir – ci vengono negati; certi tempi, poi, son portati ad una lentezza esasperante. L'orchestra areniana sembra seguire di malavoglia il maestro svedese, tanto che al bis di Una furtiva lagrima – richiesto a gran voce dalla sala – mancano gli attacchi giusti, sbanda ed il tenore Francesco Demuro deve fermarsi e chiedere di ripartire. Un incidente di percorso che però non inficia una prestazione oltremodo positiva, in cui calore e colore di voce, salda personalità, inflessioni sono appropriate e conducono ad un Nemorino candido sognatore sì, ma per nulla babbeo.
Laura Giordano sin dall'aria di sortita appare interprete deliziosa per gradevolezza di timbro, grazia interiore e vezzoso brio interpretativo: che affronti Adina, come qui, prodigandole garbo e simpatia, o che ci offra Norina, Nannetta, Marie o Susanna, il soprano palermitano centra sempre il suo personaggio con luminosa freschezza. Qianming Dou è un Belcore vocalmente prodigo – impeto ed acuti ci sono – ma alquanto grossolano nello stile e nel fraseggio; in più, la frivolezza e l'ingenua prosopopea del sergente gli sfuggono completamente.
Con Dulcamara è bene non calcare troppo il pedale sul farsesco: lo sa bene Salvatore Salvaggio al momento di portare in scena uno sgargiante ed icastico imbonitore, traboccante di gaglioffa furberia, assecondandolo con sciolta e brillante condotta vocale, e pertinente accentazione della parola. Sapida e stuzzicante la Giannetta di Elisabetta Zizzo; il Coro diretto da Matteo Valbusa ha svolto con l'abituale scioltezza il suo compito.