Sicuramente si tratta di un’operazione insolita rispetto all’adattamento italiano di un musical nato a Londra o New York, ma non basta coniare un genere (Musical Fashion Show) per rendere un prodotto inedito e innovativo.
Lo si voleva far passare per un ammiccante cross-over tra Il Diavolo veste Prada, The Full Monty e Magic Mike, e tutto sommato la strategia ha funzionato, perché i tratti caratteristici dei personaggi sono quelli. Non si può negare che fosse molta la curiosità intorno al debutto di Men in Italy, il nuovo progetto targato Wizard Productions, ma il risultato finale ha deluso in maniera piuttosto evidente le aspettative.
Sicuramente si tratta di un’operazione insolita rispetto all’adattamento italiano di un musical nato a Londra o New York, al quale ormai anche il pubblico italiano risulta abituato, ma non basta coniare un genere (Musical Fashion Show) per rendere un prodotto inedito e innovativo.
Tutto molto “underwear”
Quello che manca allo spettacolo, scritto e diretto da Alfonso Lambo è prima di tutto un significato incisivo sul piano drammaturgico: una buona intuizione c’è, ed è raccontare il mondo della moda – orgoglio dell’Italia nel mondo – attraverso la celebrazione della bellezza maschile, che esplode durante una serie di sfilate “underwear” in giro per il Belpaese. Così, gli Angels - il corpo di ballo tutto al maschile che si scatena sulle accattivanti coreografie di Bill Goodson, mettendo quasi ininterrottamente in bella mostra fisici scultorei e dimostrando però una simpatia fuori dall’ordinario- risultano l’elemento caratterizzante dello spettacolo, relegando in secondo piano i romantici, ma piuttosto scontati, intrecci amorosi tra i protagonisti.
Ci si aspetta che sia la musica a risollevare lo show, ma per quanto si possano considerare coraggiose le scelte compiute dagli artisti a livello interpretativo, rimane il fatto che i brani, senza il supporto di una storia efficace, non acquistano valore drammaturgico, ma sembrano inseriti troppo artificialmente nel contesto dello show.
L’esuberanza dell’Aquila di Ligonchio
L’interpretazione dei personaggi principali dello spettacolo è affidata a nomi noti dello show business. Iva Zanicchi, al suo debutto in un musical, è Norma, la cinica e disillusa proprietaria della casa di moda MIT: spigliata e – per sua stessa ammissione durante lo spettacolo – “eccessivamente esuberante”, rende la sua caratterizzante simpatia contadina, piuttosto borderline, in rapporto al personaggio. Sentire “l’Aquila di Ligonchio” interpretare alcuni dei suoi successi (da Le montagne a Non pensare a me) strappa immancabilmente l’applauso, anche se l’esecuzione di Come ti vorrei, in coppia con Bianca Atzei (che nello spettacolo interpreta Sara, la figlia di Norma), ha disatteso leggermente le aspettative del pubblico.
Per la giovane artista milanese, cantare è sicuramente il suo punto di forza e la carta migliore da spendere sul palcoscenico, rispetto alla recitazione, che resta un universo per lei decisamente ancora da esplorare. Un discorso analogo, all’inverso, può valere per Alex Belli, nel ruolo del testimonial di punta della casa di moda: la sua è una recitazione troppo televisiva, quasi precipitosa, e le sue esibizioni canore sono coraggiose, ma ancora piuttosto acerbe. Per fortuna, l’ex volto di Centovetrine può contare sul sostegno vocale di un vero performer, dal timbro rock e tagliente (Luca Gaudiano).
L’autentica rivelazione è Jonathan
La vera sorpresa dello spettacolo è Jonathan Kashanian: nonostante la sua prova d’attore tenda a lasciare l’amaro in bocca, con il suo stile impeccabile ha dato opportuno risalto al ruolo di Ted, consigliere tuttofare di Norma e acuto osservatore. E si è rivelato sorprendentemente all’altezza come cantante, sfoderando un timbro graffiante e avvolgente, in particolare nell’esecuzione di Strong Enough, Bang Bang e Sex Bomb.
Alla coppia fratello-sorella formata da Beatrice Baldaccini e Daniele Balconi e alle voci black di Giovanna D’Angi e Michelle Perera tocca la responsabilità di offrire un minimo di soddisfazione al pubblico del musical, mostrando come lavorano i veri performer: freschezza, empatia, potenza vocale e versatilità interpretativa restano una garanzia, anche in un contesto produttivamente efficace, ma purtroppo sprecato, come quello in cui ha visto la luce Men in Italy.