Una favola contemporanea quella di Emma Dante, per raccontare una complessa storia familiare pronta a rinnovare il significato più radicale della misericordia.
Una favola contemporanea per raccontare una complessa storia familiare pronta a rinnovare il significato più radicale della misericordia. Misericordia di Emma Dante scuote ventre e cuore, ed un groviglio di emozioni contrastanti e fortissime grava per tutto lo spettacolo. Un'ora intensa e senza intervallo per non spezzare l'incantesimo della fiaba in cui il settimino da burattino diventa bambino, e non a caso mamma è l'unica parola che alla fine gli sentiremo dire.
La misericordia, che altro non è che "la pietà del cuore", appare e scompare dal palco al ritmo delle vicende che mostrano virtù e infamie dei miserabili. La narrazione, rapida e incalzante, si regge su un tragico antefatto: l'infausto destino di Lucia la zoppa, "morta di botte" per mano del falegname Geppetto. Alle tre testimoni non rimane che arginare il male e assolvere al compito della compianta: sottrarre l'innocenza alla miseria dell'esistenza, ossia Arturo, che in una sorta di rovesciamento di Pinocchio, è destinato a rimanere per sempre bambino.
Anima, corpo e lessico
Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco e Leonarda Saffi, storiche attrici della Compagnia Sud Costa Occidentale, sono impeccabili. Nelle vesti del disgraziato - ma non sgraziato - c'è Simone Zambelli. La perfetta coreografia del danzatore crea un delicato ossimoro con il disagio del personaggio.
Resta anche in quest'opera il lessico familiare della regista palermitana, il siciliano (misto all'italiano) che esprime tra lirismo e spietatezza le sorti dei protagonisti. Impossibile non esserne sferzati o non coglierne ogni sfaccettatura, perché lo spettacolo è accompagnato da una recitazione così fisica e istintiva da rendere tutto chiaro, perfini i bisbigli, il non detto e i silenzi assolutamente narrativi.
Il predominio dei corpi - con i balli, i colpi e gli strepiti - conferma l'immediatezza comunicativa della Dante. Le rimostranze delle carne ribadiscono invece l'oscenità della miseria, fino a dichiarare come le tre donne siano unite non da un vincolo di sangue ma da una promessa. Un trauma che le ha rese ancora più arrabbiate, considerando che erano già costrette a una vita senza speranza: sferruzzare rabbiosamente di giorno e prostituirsi di notte.
Miserede dei Miserabili
Il prodigio che offre questo dramma a tre voci è quello di evocare i demoni a gesti, fragori e parole materializzandoli sul palco. È tutto a servizio della misericordia, compresa una scenografia parca ma efficiente. È un teatro di ricerca ma anche sociale che risponde all'urgenza attuale, condannare la violenza sulle donne, oltre che sugli innocenti.
Il predominio della fisicità rimarca la sofferenza e la brutalità della storia e della vita, ed Emma Dante è semplicemente superba.