L’Orfeo torna alla luce per la prima volta in tempi moderni al Festival della Valle d’Itria. Una performance piacevolissima che il pubblico in sala apprezza e saluta con grande calore.
L’Orfeo, pasticcio di Nicola Antonio Porpora andato in scena a Londra nel 1736, torna alla luce per la prima volta in tempi moderni al XLV Festival della Valle d’Itria nell’edizione critica curata da Giovanni Andrea Sechi.
La varietà come essenza del piacere
Da alcuni anni la pratica del pasticcio, da sempre stigmatizzata e considerata come l’emblema del malcostume operistico settecentesco, attira l’attenzione delle ricerca musicologica. Anche gli esecutori guardano con rinnovato interesse a questo repertorio e si impegnano a recuperarne esempi significativi. Tale è senz’altro la partitura composita firmata da Porpora su libretto di Paolo Rolli, nella quale, accanto a una netta maggioranza di arie del maestro napoletano, trovano posto pezzi chiusi di Hasse, Araia, Veracini e Giacomelli.
Anziché mero accostamento di pannelli preesistenti, l’assemblaggio si rivela operazione consapevole e scaltra, che concilia la valorizzazione degli interpreti e la coesione drammaturgica. I numeri trascelti, perciò, vengono opportunamente modificati, dotati di un nuovo testo poetico e, in alcuni casi, anche brillantemente riorchestrati. La paternità multipla e la provenienza disparata dei tasselli si traduce in un susseguirsi di colori che tiene desta l’attenzione del pubblico (di allora e oggi), sempre in attesa di una nuova e diversa primizia. Per godere di una siffatta esperienza musicale occorre pertanto aderire a un’ottica estetica peculiare, nella quale i concetti forti di autore e di opera arretrano per lasciare spazio alla varietà intesa come principio costruttivo e come valore in sé.
Linearità e sfarzo
Accanto ai due protagonisti, Rolli fa agire altre due coppie di personaggi: Aristeo con Autonoe e Plutone con Proserpina. La nota vicenda del cantore tracio viene declinata tra dramma e galanteria. Notevole, però, è che Orfeo riesca prima a far innamorare e poi a far rivivere Euridice non per mezzo del canto pirotecnico e virtuosistico, ma con numeri di grande forza patetica, nei quali la voce dispiega la sua capacità magnetica e la sua potenza misteriosa.
Per raccontare questa storia intessuta di passioni e gelosie, abbandoni e ricongiungimenti, Massimo Gasparon punta sul netto contrasto tra cornice e figure. La scenografia è essenzialissima: bianco assoluto, tratto puro, accessi e gradini, passerella praticabile per portare talvolta gli interpreti in primo piano. L’ampio fronte a disposizione, però, è scandito in tre grandi settori incorniciati, quasi tre palcoscenici contigui, ciascuno dei quali dotato di un proprio sipario scuro. La soluzione, semplice ma efficace, fa percepire i cambi di ambientazione e di contesti con l’alternanza delle aree utilizzate e conferisce ritmo all’azione.
Gli abiti, invece, sono sontuosissimi, monumentali, sfacciatamente barocchi, dominati da colori accesi e decorazioni d’oro bruno. La calcolata contrapposizione tra linearità e fulgore è di grande effetto e dona plasticità alla preziosa gestualità degli attori.
Le sfide per le voci
Interpreti dell’opera a Londra nel 1736 furono cantanti del calibro di Carlo Broschi ‘Farinelli’ (Orfeo), Francesca Cuzzoni (Euridice) e Francesco Bernardi ‘Senesino’ (Aristeo). Basta questo dato a far intuire quanto impegnativa sia la partitura , messa insieme proprio per esaltare le abilità degli artisti destinati a portarla sulla scena.
Il cast martinese raccoglie la sfida e in gran parte la vince grazie al buon livello di tutti i suoi componenti. Un impegno continuo e onerosissimo è richiesto a Raffaele Pe nei panni del protagonista eponimo, detentore di numeri scintillanti; il controtenore lodigiano si fa apprezzare per la tecnica e, soprattutto, per l’eccellente capacità espressiva, che gli fanno perdonare qualche sbavatura dovuta al comprensibile affaticamento.
Da segnalare la precisione di Anna Maria Sarra (Euridice) e la sicurezza di Federica Carnevale (Autonoe); completa con grande bravura il comparto femminile Giuseppina Bridelli nel ruolo di Proserpina, che sulla carta è una terza parte ma ha due arie tanto belle quanto difficili.
A guidare l’ensemble greco Armonia Atenea, che nell’insieme fornisce una prestazione di tutto rispetto, è l’ottimo George Petrou, che riesce a non far calare mai la tensione, sceglie tempi appropriati per ciascuna aria, cesella il fraseggio e si intende perfettamente con i cantanti.
Il risultato è una performance piacevolissima che il pubblico in sala apprezza e saluta con grande calore.