Il nome più eccitante della danza moderna ha prodotto una performance assolutamente eccezionale, stabilendo uno standard di meraviglia e bravura davvero oltre il comune. 6 & 9, l'ultima creazione di Tao Ye.
Quello che è diventato forse il nome più eccitante della danza moderna ha prodotto una performance assolutamente eccezionale, stabilendo uno standard di meraviglia e bravura davvero oltre il comune. Tutto questo è stato 6 & 9, l'ultima creazione di Tao Ye con il Tao Dance Theatre.
I magnifici sei nelle mani del noodle
Un noodle, così lo chiamavano da piccolo, per sottolinearne l'elasticità corporea. Tao Ye, ballerino e coreografo di 33 anni, resta fedele al suo nickname e continua a pensare ed agire in scena con ogni parte del corpo quasi scomponendosi, e disponendo di doni naturali certo non comuni.
Guida il Tao Dance Theatre dal 2008, ed ha portato al Napoli Teatro Festival 2019 questa unione di due coreografie che riprendono la sua serie numerica (proposta in vario modo finora in oltre 40 paesi e 100 festival), disegnate sulla musica di Xiao He, compositore d’avanguardia di successo.
Altamente astratto e rigorosamente formale: lo stile assoluto dalla perfezione maniacale prorompe subito, nella prima parte dedicata al numero sei. Emerge apparentemente senza forza, anzi quasi nell'assoluta rarefazione dell'atmosfera. Nulla si vede, solo si avverte una infima percezione che qualcosa stia accadendo, quando le prime soffocate penombre lasciano intuire dei movimenti che lentamente si disvelano, nelle flessuose sinuosità delle luci che allargano la vista sui sei danzatori.
L'assoluto unisono è la prima scoperta, e giunge attraverso un perfetto sincronismo. I magnifici sei agiscono senza tratti di genere o individualità, quasi indistinguibili, potrebbero essere monaci o atomi. La composizione di una linea retta si trasforma in diagonale, estendendo all'infinito quella che sembra un'imprescindibile ricerca/dialogo con la colonna vertebrale, in una successione impressionante di movimenti che li comprimono e rimodellano ad una velocità continua, e soprattutto con il marchio di Tao della ripetizione, del movimento ossessivo che replica il modus della meditazione, che cattura il concetto riproponendolo all'infinito per eternarlo. Proprio come pretende la vita di un ballerino, sostiene lui stesso, in una “compressione dello slancio quotidiano” che qui eredita una forza primitiva.
Nove per tutti
Soffiare su un tarassaco, e guardare le innumerevoli direzioni in cui si disperde l'infruttescenza, i movimenti dei residui del soffione in preda all'aria, senza forza propria a opporsi, su una strada casuale da seguire con lo sguardo.
La seconda parte osiamo vederla all'opposto della prima, senza dimenticare che nella simbologia cinese il numero assume significati di cerchio che si chiude: se attraversi nove stadi o nove prove, tornerai all'inizio. L'eterno ritorno come premio per la progressione effettuata, l'origine come nuovo inizio. È ciò che mettono sulla scena, con senso d'insieme superiore ed appoggiandosi perfettamente ai disegni musicali, soprattutto nelle parti in cui un coro polifonico esaltava le accoppiate di baritoni e bassi riempiendo l'aria allo stesso modo e tempo di quanto facevano i nove corpi.
La stupefacente perfezione stilistica e tecnica della prima parte, e poi il passaggio dalle oscurità ai chiarori, dal rigore alle lievità, restituisce infine un tripudio raro di abilità e idee, un lampo di sconvolgente bellezza che lascia tutti pieni di gratitudine. Standing ovation.