Un’impalcatura di corde - una rete, un sollevatore di pesi e un’altalena – traccia uno spazio-limite in cui si è letteralmente e fisicamente intrappolati. Antonio Rezza ci catapulta immediatamente in un gioco-storia claustrofobico, masochistico e divertente.
Una claustrofobia divertente dettata dalla voce ossessiva, metallica e ipnotica dell’attore piemontese e dalla sua strabiliante capacità di stravolgerla in mutavoli timbri che fuoriescono dal suo abile volto-maschera. Le espressioni facciali di Rezza hanno la particolarità di “parlare” prima delle parole: l’energia istrionica di un attore dal talento fuori dalla righe si sprigiona dall’azione e dal corpo per arrivare a una storia-dramma dal sapore macabro di cui ridere istericamente a crepapelle.
7-14-21-28 è il ritratto di un paese in cui non funziona nulla: sul palco i colori della bandiera italiana e argomenti di vita - si passa dall’attualità alla politica, dalla storia alla quotidianità familiare - portati alle estreme conseguenze.
Un padre spinge suo figlio sull’altalena – “attento a papà!” - esclama ripetutamente Rezza– “reggiti alla cordicella”. In verità l’imperativo viene scandito in una frase divisa in due: “attento” (a chi?), (risposta) “a papà”. “L’attento a papà” è inteso in senso cautelativo non amorevole: (spiegazione) attento a papà perchè ti spingerà così in alto da farti cadere.
In ospedale un infermiere serve da bere a un paziente dell’acqua. Il paziente chiede con insistenza se l’acqua sia buona da bere – “è bona l’acqua?” (la domanda si mantiene come un refrain per tutto lo spettacolo a tratti alterni). L’infermiera non risponde, cogliendo la domanda come un’affermazione anzi come “una forma riflessiva!”.
Poi è la volta della vita da precario in lotta con il sindacato e alle prese con “il vocione apocalittico” degli ordini a cui deve rispondere ogni giorno. Non basta: quando rientra in famiglia il precario capisce che anche sua moglie e suo figlio hanno “lo stesso vocione”.
Uno sguardo sull’inutilità della politica e del richiamo del cittadino al voto. Per esempio: finanziamenti statali alla cultura. Si vota? La risposta è no.
La messa in scena procede per episodi-quadro tutti estremamente collegati in un’unica storia: il racconto di un uomo affascinato da uno spazio che diventa numero-cifra o posizione schiacciante da occupare all’interno di una famiglia voluta da un Dio cifrario.
7-14-21-28 è uno spettacolo interessante, ma asfissiante nel vero senso del termine: un bombardamento di voci, ossessioni, pensieri che partendo da situazioni-tipo giungono fino al nocciolo della questione sino a renderla insopportabile. La copia di una realtà soffocante - la nostra - diventa il pretesto per riflettere e sorridere con amarezza.