Prosa
7 MINUTI

Quanti sono davvero 7 minuti?

7 minuti
7 minuti

"7 minuti" è uno spettacolo che si vede tutto d’un fiato, una sorta di prima sorsata di birra, per dirla con Delerm, uno spettacolo che ti riconcilia con il teatro e con la sua possibilità di essere ancora politico, nel senso più vero del termine.

Già, perché la storia vera cui il testo di Stefano Massini si ispira, un gruppo di operaie che all’interno della propria fabbrica deve decidere se rinunciare a sette minuti della pausa giornaliera, avrebbe con facilità offerto il destro a una caratterizzazione ideologica, avrebbe potuto spalancare finestre su un’aria da anni ’70, mortificando così la ricchezza di un intreccio teatrale nel monologante tono declamatorio di un comizio, seppur recitato a più voci.

E invece no, la regia di Alessandro Gassmann batte altre strade, è attenta al respiro umano e al dramma esistenziale delle undici protagoniste, dà voce alle loro paure più che alle loro rivendicazioni, lascia che parlino di sé, di quello che sono già state e soprattutto di quello che saranno, piuttosto che del futuro della fabbrica. Ed è per questo che lo spettacolo diventa davvero politico, innesca cioè un dibattito, un confronto, una riflessione, rinunciando ad urlare come dall’alto di una tribuna elettorale o sindacale.

Le undici operaie hanno scelto come portavoce Bianca, è probabilmente la più anziana del gruppo, ha sulle spalle trent’anni ai telai, le mani rovinate, la schiena a pezzi, tuttavia la sua maturità, i suoi capelli bianchi, la pacatezza delle sue parole non ne fanno una leader, piuttosto una mamma, una mamma che guarda più lontano delle proprie figlie, che intravede pericoli dove le sue compagne colgono solo vantaggi, che vuole parlare e non solo protestare o supinamente accettare.

Ottavia Piccolo entra con umiltà nella pelle di questo piccolo/grande personaggio, ne condivide i dubbi, le perplessità, perfino la sconfitta finale, Bianca infatti sarà accusata di essersi in qualche modo venduta ai nuovi proprietari della fabbrica. La Piccolo dà voce alla voglia di Bianca di mettere sempre sul piatto della bilancia la possibilità di confrontarsi e di discutere, lo fa con equilibrio e senza mai cedere all’eccesso. E proprio in questo si misura la contemporaneità di Bianca, non è arrabbiata, non è un’eroina senza macchia, non una femminista dalla lotta dura e senza paura, è una donna con tre figli di cui due ancora a suo carico, confessa alla sua giovane compagna che se avesse avuta la sua età avrebbe certamente votato come lei, rinunciando cioè ai sette minuti e cercando di tenersi stretto a tutti i costi il posto di lavoro, e a chi l’accusa di essere contraria all’accordo solo perché ormai alle soglie della pensione, risponde che è proprio la sua età a obbligarla a parlare in quel modo, a scongiurare che vengano commessi errori irreparabili.

La Piccolo costruisce una Bianca vera e diretta, ma al tempo stesso fragile, le sue pause servono a scegliere le parole giuste, perché Bianca non parla come le pagine di un protocollo di intesa, non ha la verità in sé, la cerca semmai insieme alle altre e le altre sono dieci bravissime attrici, impossibile qui ricordarle tutte, che danno vita a uno spettacolo corale nel quale però ogni singola storia trova il suo giusto spazio: la fabbrica è un melting pot  nel quale si intrecciano provenienze, esperienze, ma soprattutto aspettative diverse. Le ataviche paure dell’immigrata africana si mescolano alle speranze di matrimonio e casa di una delle più giovani, l’avvenente impiegata dell’est ha un figlio piccolo, la turca deve tirare avanti in un paese che il più delle volte le è ostile, l’altra impiegata invece è talmente giovane che sciorina ragionamenti di un’ingenuità sconcertante, ma al tempo stesso capaci di ribaltare le prospettive.

Non è un caso che proprio a lei sia affidato il finale, un finale aperto, che non vuole dire una parola conclusiva: si torna a votare per l’ennesima volta, cinque voti a favore e cinque contrari, manca solo il voto della giovane impiegata, ma il buio inghiotte la scena e gli applausi partono generosi.

Finisce così "7 minuti", un’ora e mezza di affondo nella difficile realtà del lavoro, un affondo in continuo equilibrio tra solidarietà collettiva e prerogative personali, che sono poi le due facce della nostra contemporaneità: il continuo oscillare tra il bene di tutti e le spinte egoistiche delle quali nessun essere umano, uomo o donna che sia, può fare  a meno.

Perfette, infine, le musiche di Pivio & Aldo De Scalzi, giusti nella loro essenzialità i costumi di Lauretta Salvagnin.

Visto il 23-01-2015
al Carlo Goldoni di Venezia (VE)