Immaginate una fabbrica. Si fa fatica, considerata la rapidità con cui ormai chiudono. Immaginare allora cosa possa essere un ‘consiglio di fabbrica’ diventa ancor più difficile: distinguiamo a malapena le differenze tra sindacati, di cui forse rimangono solo le sigle a memoria di un passato ben più glorioso della storia presente, che probabilmente non sappiamo neanche più cosa sia questo organismo interno all’impresa.
Bianca - una magistrale Ottavia Piccolo nel pieno della sua maturità artistica - ne è però la portavoce. Gelosa custode di valori e idee che sembrano cozzare con la dura realtà del ‘libero mercato’ nel quale, per sopravvivere, si deve abbozzare, rivedendo priorità e progetti di vita. Cedere qualcosa, per star meglio tutti. Ad esempio, 7 minuti al giorno di pausa pranzo, l’equivalente di 600 ore al mese a costo zero per l’azienda, che chiede alle sue dipendenti di avallare un piccolo sacrificio per stare nelle spese. Non è roba da poco, sebbene non tutti ne capiscano la portata. Ma la schiacciante maggioranza (10 a 1) a favore del provvedimento, si andrà gradualmente assottigliando, finendo con il capovolgere l’esito di una votazione (quasi) certa. Quel voto che farà la differenza però non viene rivelato, ultimo colpo di scena in una storia che fa della precarietà della quotidianità e del lavoro uno dei suoi punti di forza.
Ciò che accomuna inizio e fine è l’approccio cinematografico, a partire dalla musica e dalle scelte registiche inerenti luci e caratterizzazioni dei personaggi - 11 donne diverse, nessuna delle quali messa in ombra dalle altre ma tutte portatrici di un proprio universo di emozioni, bisogni, paure. Quello che però colpisce davvero è il testo. Dopo un primo momento di eccessiva lentezza, si entra nel vivo della storia: il confronto tra le componenti del Consiglio, sempre acceso e mai posato, ma vero e drammatico, nel quale emergono prepotenti tematiche ormai all’ordine del giorno. Basta guardarle per capire quanto feroce possa essere la lotta per la sopravvivenza, quella contro il timore di rimanere in mezzo ad una strada se non si accetta il compromesso, seppur presentato sotto la malcelata forma di invito alla solidarietà e alla ragionevolezza. Quanto forte sia ancora la lotta tra poveri, sempre più inasprita dall’assenza di lavoro; quella tra donne che continuano a prendersi le misure anziché unirsi in un progetto comune di salvaguardia della propria dignità. Così come la ‘guerra’ tra cittadini e stranieri: i primi che pensano che l’altro possa privarlo di qualcosa che spetta di diritto, i secondi disposti ad accettare l’inaccettabile, perché hanno già vissuto il terrore dell’incerto e non vogliono perdere quel po’ di benessere conquistato. Altro tema dominante è poi la forza della parola: se discusso e analizzato, ogni problema ha una soluzione diversa e alternativa. Ma dimostra anche quanto sia facile insinuare dubbi nella mente umana, innescando pericolosi corti circuiti o, al contrario, suggerendo nuove chiavi di lettura.
Uno spettacolo da vedere per riflettere e trovare, in piena libertà di coscienza, la risposta mancante.