Prosa
IFIGENIA, LIBERATA

La storia della violenza

Ifigenia, liberata
Ifigenia, liberata © Masiar Pasquali

La violenza è insita nella natura umana, ed è da sempre uno dei motori della storia, fino da i tempi di Caino e Abele. E sono infatti i figli di Adamo ed Eva ad aprire ”Ifigenia, liberata”, prima tappa di una “storia della violenza” che dalle origini del mondo si dipana fino ai nostri giorni.

La violenza è insita nella natura umana

All’interno di una sala prove efficacemente ricostruita sul palcoscenico da Margherita Palli un regista, il bravo e comunicativo Tindaro Granata, ed una drammaturga, l’incisiva Mariangela Granelli, stanno provando con un gruppo di attori Ifigenia in Aulide di Euripide, partendo dalla domanda: ”Ha senso sacrificare una ragazza agli dei per una banale bonaccia che impedisce alle navi greche di salpare per Troia?”

La risposta sarebbe ovvia, eppure è insita nella natura umana la necessità di trovare un capro espiatorio su cui scaricare la propria violenza: la morte di Ifigenia impedirà ai greci, inferociti per l’impossibilità di partire, di scannarsi tra di loro. Ed è proprio per abbracciare in modo più ampio il rapporto tra umanità e violenza che i due registi -quello vero, Carmelo Rifici e quello della finzione teatrale, Tindaro Granata- scelgono di integrare il testo euripideo con pagine dell’Antico Testamento, di Eraclito, Nietzsche, René Girard, per dimostrare che nel corso dei millenni, questo sentimento non è mutato, anzi, spesso, non sono mutate neanche le parole.

Testo complesso supportato da una regia efficace

"Ifigenia, liberata” è uno spettacolo che cerca di scavare alle radici, per questo, a causa del suo continuo intrecciarsi degli autori, non tutti i riferimenti sono sempre così intelligibili ed a volte disorientano. Rifici riesce però a costruire una drammaturgia solida, in cui si alternano sequenze forti e di grande impatto visivo, grazie soprattutto al gioco tra recitazione ed immagini proiettate che crea potenti suggestioni. Infatti, se nella tragedia greca la morte non si deve vedere e deve avvenire fuori scena, al contrario la nostra società è assuefatta alla morte, o meglio alla sua immagine, che rimbalza quotidianamente sugli schermi.

Ecco quindi che quello che avviene dietro le quinte, il più delle volte azioni violente, viene ripreso in diretta dalle telecamere e proiettato su un grande schermo in modo che il pubblico possa assistervi. 
Ottimo il cast degli interpreti del dramma, su cui spicca la magnetica Clitemnestra di Giorgia Senesi, che tiene testa al tormentato Agamennone di Edoardo Ribatto.
Anahì Traversi è un’Ifigenia intensa e commovente, cui cerca di dare conforto il vecchio greco interpretato da un umanissimo Giovanni Crippa. Più rudi e militarmente pragmatici l’Odisseo di Igor Horvath e il Menelao di Vincenzo Giordano, mentre Caterina Carpio e Francesca Porrini rivestono il ruolo del coro di uno spettacolo molto intellettuale ma che coinvolge ed emoziona.

Visto il 07-04-2018
al Sociale di Brescia (BS)