Torino, teatro Carignano, “Aci, Galatea e Polifemo” di Georg Friedrich Händel
VIDEOCLIP BAROCCO
Händel scrisse due versioni di questa serenata a tre, la seconda in inglese, la prima in italiano durante il suo soggiorno a Napoli (l'autografo, conservato nella British Library di Londra, riporta la data finale della composizione: “Napoli li 16 di giugnio, 1708”), commissionata dalla duchessa Aurora Sanseverino su libretto del proprio segretario Nicola Giuvo, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, per celebrare le nozze della nipote: infatti la cantata si chiude con un elogio della fedeltà e della costanza in amore.
In scena per la prima volta a Torino, il Regio l'ha messa in cartellone per celebrare i 250 anni dalla morte del compositore: pur trattandosi di opera giovanile (Händel aveva solo 23 anni), contiene pagine di grande qualità. Si racconta la storia della ninfa marina Galatea, innamorata del pastore Aci e insidiata da Polifemo, il quale sorprende i due in atteggiamento intimo e con un masso uccide Aci; Galatea chiede al padre Nereo di trasformare il sangue di Aci in un fiume, in modo da congiungersi continuamente con lui nel mare.
Davide Livermore raccoglie coraggiosamente la sfida di mettere in scena la serenata, fragilissima dal punto di vista drammaturgico benchè basata su una musica meravigliosa, partendo dalla lezione settecentesca che “paradisi e inferi sono dentro di noi”.
La scena, dello stesso Livermore, è un interno architettonico sghembo con vaghe tracce neoclassiche, aperto su schermi dove si proiettano le immagini realistiche di Marco Fantozzi, che rendono visivamente le metafore del libretto. Non solo acqua, aria, sangue, ma animali che concretizzano le essenze dei protagonisti: l'aquila per Aci, la farfalla per Galatea, il serpente per Polifemo. Proiezioni continue che trasformano la cantata in un moderno videoclip (barocco).
I costumi di Giusi Giustino oscillano fra il rigore storico e il presente punk, tanto che Aci viene ucciso con un colpo di pistola: nella prima parte gli abiti dei cantanti richiamano, ma con differenze visibili, quelli dei mimi-doppi, nella seconda parte invece c'è un continuo mescolamento che rende più difficile seguire il dipanarsi dei fatti cantati.
Proprio per ovviare all'assenza di storia, Livermore mette sulla scena, secondo una sua consueta cifra stilistica (per tutti ricordiamo Elvira nel Don Giovanni del Carlo Felice), i doppi dei personaggi, qui mimi che riprendono, amplificano, accolgono i gesti dei cantanti. I mimi (Cristina Banchetti, Luisa Baldinetti, Sax Nicosia) servono a movimentare il palcoscenico ma talvolta appaiono distraenti, superflui, se non fuorvianti, come nella scena di amore saffico mentre si narra che ad amarsi siano Aci e Galatea.
Ha poco funzionato la divisione in due atti di un lavoro sostanzialmente unitario, facendole precedere da due “falsi” preludi: la Siciliana dal Concerto grosso e la Sonata della cantata Ah! Crudel nel pianto mio.
Punto di forza della serata la impeccabile direzione di Antonio Florio, anche concertatore a capo della Cappella della Pietà de' Turchini di Napoli (il San Carlo coproduce lo spettacolo che nel gennaio del 2010 sarà in scena nel teatro di corte di palazzo reale). Florio utilizza una orchestra ridottissima e strumenti antichi, restituendo i sottili rapporti di tonalità tra i brani e nel rapporto voci-strumenti, creando una affascinante rete di contrasti chiaroscurali che avvolge l'ascoltatore come una ragnatela, complice la raccolta dimensione del teatro Carignano. Florio elimina le incrostazioni romantiche e tradizionali e trasmette un suono radicalmente diverso da quello a cui siamo abituati: il ridimensionamento degli archi fa emergere maggiormente i fiati, le nervature strumentali sono evidenziate facendo risaltare le linee vocali con plastica nitidezza ed arricchendo l'aspetto teatrale.
Le arie sono difficilissime, coi loro impervi da capo che sono solo esercizi (ardui) di stile, ma Sara Mingardo convince pienamente: la sua Galatea ha voce scurissima e duttile ed utilizza timbri, pronunce ed accenti adeguati sia alla condizione semidivina della ninfa sia nell'esprimere i sentimenti amorosi (desiderio, ma anche struggimento e malinconia) che maggiormente si collegano all'umanità. Bene anche Ruth Rusique (Aci), la cui aria della prima parte è esaltata dall'accompagnamento al clavicembalo. Meno risolto il Polifemo di Antonio Abete, una prestazione di forza più che di agilità e di elasticità per un ruolo che richiede in principio un sostenuto alto e poi precipita in un corposo basso.
Lo spettacolo è andato in scena nel teatro Carignano appena restaurato, un vero gioiello del tardo barocco piemontese. Recita esaurita, vivo successo di pubblico.
Visto a Torino, teatro Carignano, il 12 giugno 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Regio
di Torino
(TO)