Giusto cinquant'anni fa, il 4 novembre 1966, mentre Firenze e mezza Italia venivano travolte da muri d'acqua e di fango, una terribile ondata marina colpiva nel cuore Venezia e le isole intorno. Dopo giorni e giorni di pioggia e di scirocco, qui si verificò la più elevata “acqua alta” mai registrata, almeno da quando sussistono le rilevazioni scientifiche di un rovinoso fenomeno che insidia sempre più frequentemente il fragile equilibrio della Laguna Veneta. Alle ore 18 di quel maledetto giorno il mareografo di Punta della Salute segnò infatti quota 194 centimetri: vale a dire che il livello del mare si trovava allora in città quasi due metri sopra il normale, sommergendo i piani terra di case e palazzi di acque nere e bianche, miste a nafta e spazzatura. E per effetto del cosiddetto “morto d'acqua” - così qui viene definita l'infausta somma di due maree – a tale livello rimase per 24 ore. L’alluvione provocò in tutta la Laguna disastrose conseguenze, ma ad essere colpite dal furore delle onde furono in particolare le lunghe e spesso strettissime lingue di terra – formate dai litorali del Cavallino, del Lido e di Pellestrina – che arginano il fronte del mare aperto riparando dalle onde gli specchi d'acqua interni. In quest'ultimo in particolare, erano stati eretti nel corso del Settecento i “Murazzi”, lunghe e massicce dighe in pietra d'Istria: una ciclopica opera di difesa, che tuttavia in quei tristi giorni di novembre venne violata in più punti dall'inusitata violenza del mare. Al punto che l'intera isola di Pellestrina - la più fragile di tutte - fu travolta dall'acqua salsa e i suoi tremila abitanti dovettero abbandonare le proprie case.
E proprio tra la semplice e modesta gente di Pellestrina è ambientata Acquagranda, l'opera in un atto appositamente commissionata a Filippo Perocco per commemorare quelle tristi giornate, e nel contempo inaugurare con un titolo del tutto inedito la Stagione 2016/2017 del Teatro La Fenice. “Acqua granda” è il termine col quale i veneziani chiamano una marea particolarmente eccezionale, ed è pure il titolo del libro pubblicato qualche anno dopo dal giornalista, scrittore e uomo di teatro Roberto Bianchin; testo che ha dato origine ora al libretto steso a quattro mani con Luigi Cerantola. Sottotitolato “Il romanzo dell'alluvione”, il libro di Bianchin – riportato integralmente, foto comprese, nel bel programma di sala - mette insieme un lavoro di inchiesta, che riprende cause ed effetti dell'alluvione, con il racconto di quanto accadde in quei giorni funesti a due pellestrinotti, Fortunato ed Ernesto - padre e figlio, il primo vecchio pescatore l'altro giovane cameriere emigrante – ed al loro piccolo entourage di familiari ed amici. Per ovvie ragioni l'avvincente libretto di Acquagranda - parte in italiano e parte in dialetto - si limita a portare in scena le ore culminanti di quella immane tragedia, in una opprimente atmosfera pressoché tutta notturna che vede l'inarrestabile aggressione dei marosi, il timor panico che assale gli abitanti, l'abbandono del paese verso le più sicure sponde del Lido. Solo i due protagonisti, raggiunti poi da Cester il carabiniere e Luciano il farmacista, non fuggono e resistono ostinatamente sul tetto della loro casa, in un pauroso crescendo interrotto solo dal ritiro improvviso e provvidenziale delle acque. Piccoli sentimenti umani, i loro, posti a confronto con le forze incontrollabili della Natura. Al grande coro che li abbraccia fuori scena - a destra le voci femminili, a sinistra quelle maschili - come in un tragedia greca viene dato il compito di descrivere i movimenti delle acque e del vento, del cielo e degli astri, e sottolineare le emozioni di un'umanità in balia degli eventi.
Intenso il libretto, congeniali le musiche che lo sostengono, un valore aggiunto non indifferente: perché Filippo Perocco – motore del noto ensamble contemporaneo L'Arsenale - mostra di possedere idee precise e severa limpidezza di scrittura, e le sue invenzioni mettono insieme una fiorente tavolozza strumentale e linee di canto orientate ad un intenso declamato – con qualche bel squarcio melodico, come nell'accorata preghiera di Lilli e Leda “Dio delle notti limpide” - unendo così due componenti che, sotto le sue mani si integrano a perfezione ai fini narrativi. Musiche, quelle del compositore veneto, che evocano con abili e veloci tratti un'atmosfera ora tragica, ora melanconica e struggente, privilegiando tinte plumbee che ben evocano lo stato d'animo dei protagonisti, terrore e stupore insieme sotto l'infuriare di elementi naturali fuori controllo. Marco Angius – abile esegeta della contemporaneità – mostra di saper dominare sapientemente questa non facile partitura, ottenendo dall'Orchestra e dal Coro della Fenice, e da due cast entrambi all'altezza del compito, il massimo delle loro potenzialità.
Cast vocali ben combinati e formati, per la precisione, da Andrea Mastrini e Francesco Milanese (Fortunato), Mirko Guadagnini e Paolo Antognetti (Ernesto), Giulia Bolcato e Livia Rado (Lilli), Silvia Regazzo e Valeria Girardello (Leda), Vincenzo Nizzardo (Nane), William Corrò e Tommaso Barea (Luciano), Marcello Nardis e Christian Colla (Cester). Regia del suono ed effetti live electronics sono compito di Davide Tiso.
Il magistrale schema drammaturgico progettato da Damiano Michieletto ha risposto appieno alle grandi aspettative suscitate dall'inusuale battage mediatico che ha preceduto queste recite veneziane. Con l'apporto fondamentale dei movimenti coreografici disegnati da Chiara Vecchi, delle fascinose scenografie di Paolo Fantin, dei costumi di Carla Teti, sotto le fredde luci di Alessandro Carletti e con il sussidio delle video proiezioni di Carmen Zimmermann e Roland Horvat - un'alternanza di documenti d'archivio e di evocativi filmati marini – la sua poderosa e fluente regia realizza un racconto severo e stringente, che attanaglia lo spettatore in un crescendo di impetuose emozioni. Con il tocco geniale della grande vasca trasparente, che prima vediamo riempirsi d'acqua gorgogliante, poi innalzarsi e quindi svuotarsi man mano sopra i corpi della dozzina di danzatori, offrendo appresso pretesto di fantasiosi giochi liquidi. Palese ed intrigante metafora visiva del crescere e calare dell'acqua granda, che resta vivamente impressa nella memoria dello spettatore.
Grande e caloroso successo di pubblico, in un sala gremita in ogni ordine di posti: in questa, come nelle recite precedenti. L’opera sarà in streaming a partire dal 12 novembre 2016 su www.culturebox.fr
(Foto di Michele Crosera)