Addio mia bella signora è una commedia scritta in un italiano raffinato e dalla spiccata musicalità, con un lessico e un registro adatti a raccontare una storia che sta quasi tutta nel non detto, nel non mostrato. La bella scena, dello stesso regista, ricorda certe atmosfere alla Tamara de Lempicka, un grande specchio sulla quinta di destra, una grande scala dalla quale scende nel mondo della protagonista un giovane ammiratore, mentre un pianoforte e un divano campeggiano immobili sul palco come immobile è la vita della protagonista. Una vita nella quale il passato sembra avere più consistenza di un presente fatto di rinuncia, assenza, rifiuto. Lo spettatore viene a sapere della vita dei personaggi a poco a poco e mai in maniera esaustiva, intuisce, collega, deve ricostruire molti dei passaggi che il testo lascia solo intuire. Un marito che se n'è andato, una carriera da pianista alla quale ha rinunciato troppo presto, la corte di un giovane amico della figlia alla quale ha ceduto solo per una sera ma che adesso rifiuta e non per la differenza d'età, la protagonista della commedia vive in un presente sospeso, nello iato di un passato che non c'è più e di un futuro che sembra non esserci ancora. Unica ancora a tenerla viva e in qualche modo dentro a un presente immobile è la musica che ascolta da un mangiacassette seguendone l'andamento sugli spartiti che legge alacremente, unico suo esercizio musicale visto che non suona più il piano.
L'intrusione in questa sua vita immobile di un giovane curioso, un ammiratore particolare che le fa visita tutti i giorni ma solamente quando è in casa da sola, sembra l'unica diversione che la signora si concede mentre le cure distratte della figlia e dello spasimante, che abitano nella casa al mare dove la signora si è ritirata, le scivolano addosso senza avere davvero effetto sulle sue giornate di solitario ascolto musicale.
La commedia si sviluppa per scene brevi, separate dal buio, ognuna delle quali è eccentrica rispetto i fatti raccontati, mostrandoci solo l'eco di qual che accade che non è mai pienamente mostrato, la scena aprendosi quando i fatti sono già avvenuti o quando devono ancora avvenire, riportandoci i pensieri secondari, gli effetti collaterali le emozioni, i riverberi emotivi, i ricordi di una vita che accade sempre un po' altrove cioè fuori dal racconto teatrale e dentro la storia dei personaggi cui lo spettatore non è concesso mai di assistere.
Così con questa modalità del racconto lo spettatore vive un po' l'esperienza della protagonista provando gli effetti di un altrove diversamente declinato.
Ogni tanto il testo si concentra su esperienze passate della vita della signora, le rinunce per la carriera di musicista, la competizione con l'ex marito anch'egli musicista, la cui decisione di suonare nello stesso quartetto per stare insieme non ha funzionato e le cui carriere soliste li ha separati inesorabilmente. O, ancora, i ricordi d'infanzia dei due figli, che non vedevano mai i genitori ascoltandone le performance dalla radio. Piccoli grumi di vita che, in un racconto dai tempi lunghi e distesi, colpiscono improvvisamente lo spettatore con una profonda aura di vita vissuta.
Tra l'ascolto di un brano musicale e la routine di una quotidianità sempre uguale giorno dopo giorno l'estate volge al termine e gli ospiti della casa sono pronti a ritornare alla vita nella città.
E' allora che il giovane ospite si rivela essere diverso da quel che sembrava. E non è il solo colpo di scena che illumina gli eventi di un significato diverso. Così proprio quando la vita sospesa della signora sembra destinata a ripetersi all'infinito la signora esce dal limbo nel quale si era relegata, proprio nel momento in cui, per la prima volta dopo tanto tempo, riesce a (pre)occuparsi di qualcuno. Solo prendendosi cura di un altra persona, anche se solo per un momento, solo quando c'è qualcuno che ha suo malgrado bisogno lei la Signora torna artefice di se stessa. Perchè, sembra suggerirci la commedia, la libertà e l'autonomia con le quali conduciamo le nostre esistenze acquistano senso e possibilità solo quando qualcuno ha bisogno di noi.
Un testo di rara eleganza e di altissimo potere suggestivo che tocca con levità e intelligenza alcuni dei punti più profondi e significativi dell'umana esistenza.
Unico neo dell'allestimento è la regia, sfocata e poco rigorosa, che manca di un vero centro drammaturgico che non sia quello del testo, troppo attenta alla parola e non agli elementi non dialogici dai movimenti dei personaggi in scena agli indizi visivi che, pure, nel testo hanno una loro importanza. Una regia che non sembra aver trovato una sua strada a cominciare dai tempi di chiusura di ogni scena (la dissolvenza delle luci che porta a buio) sempre sbagliati, troppo lunghi quando dovrebbero essere decisi (quando la scena finisce come su un fermo immagine della signora sul quale le luci indugiano troppo spegnendosi con incertezza) e, viceversa, troppo bruschi come quando una delle scene si chiude sul singhiozzo disperato della signora e l'abbassamento troppo repentino delle luci glielo strozza in gola.
Una regia poco sollecita anche con gli attori che sono abbandonati a se
stessi e appaiono in scena un poco spaesati e trovano nel testo l'appoggio drammaturgico che il
regista non è riuscito, o non ha voluto, dar loro. Per cui la bravura degli interpreti, tutti (ma ci piace ricordare oltre all'immensa Elisabetta Di Palo, l'emozionante e magica Silvana Bosi), merita ancora di più di essere indicata.
Prosa
ADDIO MIA BELLA SIGNORA
Una regia non all'altezza del testo
Visto il
31-01-2012
al
Due
di Roma
(RM)