Dopo l'apparizione nel marzo scorso a RAI 5 in versione di film-opera l'Adriana Lecouvrer di Cilea ritorna al Teatro Comunale di Bologna, però di fronte al pubblico.
Già programmata per la primavera 2020, vi mancava da quasi trent'anni: dunque sala gremitissima per questo titolo che, pur non potendosi considerare ai vertici del suo genere, è nondimeno un formidabile meccanismo teatrale, un sapiente mix di elementi scenici accortamente dosati dal librettista Colautti, fra divertissement rococò ed abbandoni lirici.
Passione erotica, gelosia, intrighi politici e d'amore, eroismo, morte: spunti tutti abilmente raccolti dal compositore di Palmi, il quale non si limita a dar corpo ad una delle più intriganti figure da primadonna, ma sparge a piene mani squisite invenzioni melodiche (sebbene abusi un po' dei leitmotiv adottati) e profonde, grandissima finezza di scrittura nell'orchestrazione.
Decisamente superiore a quella di tante partiture d'altri esponenti della Giovane Scuola, e priva dei frequenti peccati d'enfasi che le affliggono. Basti considerare la sublime tragicità nell'inquadratura finale, dove le allucinate parole di Adriana morente sono sostenute da un rarefatto ma eloquente aggregato strumentale.
Da marzo a novembre, il cast muta di poco
Con l'eccezione del Michonnet di Sergio Vitale – interprete pressoché perfetto, dalla voce limpida e ben timbrata, dotato di squisita musicalità, e capace di ammirevole penetrazione psicologica – il cast di questa Adriana Lecouvrer novembrina è lo stesso del video RAI.
Kristine Opolais possiede una disinvoltura scenica eccezionale, ha una personalità magnetica, da autentica diva, dona il giusto peso ad ogni frase. Ed il pubblico lo percepisce appieno, e la applaude calorosamente. Insomma, la figura di Adriana le calza a pennello, benché la linea di canto non sia sempre impeccabile (nei due declamando però se la cava benissimo), il timbro tutt'altro che vellutato, l'emissione spesso povera di armonici.
Luciano Ganci ci consegna un Maurizio spavaldo, vocalmente generoso e vibrante, e sa rendere bene quel tocco di vanità blasonare che è proprio del personaggio, e che la regia sottolinea a dovere. Veronica Simeoni disegna la passionale e vendicativa Principessa di Bouillon con grande efficacia tanto scenica che vocale, senza scadimenti di tono, e senza inutili durezze e spigolosità.
Romano Dal Zovo è un po' legnoso come Principe di Bouillon: inopportuno però, lo ribadiamo, tagliare l'aria «Candida, lieve» che spiega dove la rancorosa consorte si procuri la polverina venefica che uccide Adriana. Gianluca Sorrentino è un macchiettistico, sapido Abate; Luca Gallo è Quinault, Stefano Consolini, Poisson; Elena Borin è M.lle Jouvenot, Aloisa Aisemberg, M.lle Dangeville. Efficiente il Coro preparato da Gea Garatti Ansini.
Un direttore generoso, pieno di slancio, ed una regia encomiabile
La concertazione di Ascher Fisch, giudicata ora in teatro, ci persuade molto: sempre incisiva, impetuosa e appassionata, tuttavia attenta a scansare ogni pericolosa retorica. Qualche disequilibrio con il palcoscenico si avverte, ma è compensato dall'affiatamento del cast e dalla capacità del direttore israeliano di trovare il giusto equilibrio nei momenti di abbandono lirico, evocando belle atmosfere eteree, e distillando molte preziosità sonore.
Per quello che riguarda l'avvincente messa in scena di Rosetta Cucchi, rimandiamo ai giudizi espressi alla nostra precedente recensione (Qui la recensione). Puntualizzando che questo spettacolo dal vivo conquista ancor più di quello televisivo.