Andrej e Sonja vantano un pedigree di tutto rispetto. Lui ha tre sorelle nella soffocante provincia russa, lei uno zio dal nome ingombrante, Vanja. Zio Vanja appunto. Andrej e Sonia sono creature di Cechov, come Nasten'ka e il sognatore di Notti Bianche Brian Friel li fa incontrare di notte, ma al tavolo di un caffè moscovita dove si illudono che l'attesa con cui hanno macerato l'intera vita sia davvero finita.Fingono di mettersi a nudo per provare a se stessi che c'è sempre un punto da cui ricominciare.
Dilatazione di spazi ed equilibri
Sonja e Andrej intrecciano un dialogo fitto, ma lieve come può essere la risacca,unica colonna sonora dello spettacolo.
Mattia Berto, che firma questa prima assoluta, apre infatti le pareti del caffè moscovita proponendo una curiosa, ma riuscitissima dilatazione di spazi: il caffè con i cristalli e il tavolino biano è davanti a noi, ma gli attori sono proiettati sulla parete di fondo, seduti a quello stesso tavolino ma in riva al mare. Andrej e Sonja parlano e ci parlano tra campi larghi e primi piani, sono interpreti di un film, ma quel film è la loro stessa vita come suggeriscono i continui rimandi metaeatrali. I due si materializzano d'un tratto in scena e senza abbandonare la finzione filmica daranno le battute solo quando una voce fuori campo darà il ciack. Berto contamina ma non sovrappone, l'elemento cinematografico restituisce una dimensione onirica emozionante, le mezze verità e le schermaglie della coppia cechoviana restano sospese, aleggiano liriche e quasi stranianti, senza mai appesantirsi di codici eccessivi. E' l'equilibrio la cifra di tutta la messa in scena, ma anche quella dei due protagonisti. Sara Lazzaro è una Sonja vera, palpitante, la sua fragilità è nei respiri e nei non detti, negli afflati interrotti e nelle pause mai scontate, Alex Cendron veste i panni di un Andrej bonario, clown triste che non perde mai il sorriso, tutto in lui è essenziale, impercettibili segni servono a declinare insondabili profondità.
L'attesa è solo un cammino già scritto
Lo spettacolo procede senza mai sovraccaricarsi e il rimpallo tra realtà e finzione è protagonista assoluto. Andrej e Sonja sembrano specialisti di fandonie, lui non è un noto violinista ma solo un ambulante da strada, lei rischia il pignoramento dei suoi decantati acri di terreno. Ma in fondo sono fandonie che diventano clichè, clichè di una vita di attese, attese vane, dal momento che il presente è tetro e il futuro minaccioso.
Tutti aspettiamo qualcosa di nuovo, ma il nuovo non è che la naturale prosecuzione di quel che abbiamo.
Questo suggerisce l'ultima inquadratura che Berto pone a mo' di finale: due volti segnati dal tempo pazienti aspettano che Andrej e Sonja, di gran lunga più giovani, li raggiungano.