Lirica
AGENZIA MATRIMONIALE - IL SEGRETO DI SUSANNA

Un prezioso omaggio a Roberto Hazon

Un prezioso omaggio a Roberto Hazon

Roberto Hazon, chi era costui? Viene in mente la celebre frase che Manzoni mise in bocca a Don Abbondio, pensando a come la figura di questo compositore milanese, nato nel 1930 e scomparso nel 2006, sia stata pressoché rimossa nei cartelloni lirici (e non solo da essi, come vedremo) pur avendo offerto loro, specie negli anni '50 e '60 del secolo scorso, non pochi lavori di buon successo. Formatosi musicalmente a Parma e Milano, Roberto Hazon discendeva da una illustre aristocrazia culturale meneghina: era infatti figlio di Mario, celebre linguista bocconiano compilatore d'un dizionario d'inglese tutt'ora edito, ed inoltre poteva vantare come nonni due attivissimi musicisti e direttori d'orchestra: da parte di padre, l'omonimo direttore d'orchestra, fondatore tra l'altro della Sydney Philarmonic Society; e da parte di madre Filippo Brunetto, che dal 1916 al 1934 resse la Scuola Municipale di Musica di Milano. La sua carriera di compositore prese via dal fortunatissimo esordio giovanile dell'opera L'amante cubista (1953), scritta quasi per scherzo, ma presto premiata da repliche in tutto il mondo; proseguì poi con Week-end  (1956), Requiem per Elisa (1957), Agenzia matrimoniale (1962), Madame Landru (1963), Una donna uccisa con dolcezza (1963), tutti lavori che ebbero grande diffusione sulle scene di mezzo mondo. Dopo un periodo di pausa, tornò al teatro con l'operina per bimbi La Teresina (1972), affrontò la danza con i balletti Enea, A Happy Hippy, La figlia di Jorio ed I promessi sposi, ed infine consegnò nel 1988 l'opera Eureka Stockade, commissionatagli per celebrare i due secoli della fondazione della nazione australiana, chiudendo così la sua carriera di autore teatrale. Roberto Hazon era un compositore un po' off side, con un orecchio sempre attento alle novità, che entravano magari di straforo nelle sue partiture, ma nel contempo intimamente legato alla tradizione, come un Rota, come un Malipiero: e quindi incline sia ad un fiorente e spontaneo melodiare, sia al rispetto di un linguaggio più o meno ancora pienamente tonale; e comunque, saldamente deciso ad esprimersi attraverso una strumentazione ancora “classica” . A fronte però del franco successo che ebbero quasi tutti i suoi lavori scenici – nei quali s'avverte più inclinazione alla commedia che al dramma - oggi parrebbe toccargli un'ingiusta condanna all'oblio - che riguarda anche quanto scritto in campo sinfonico e cameristico - forse dovuta al fatto che tuttora certa critica (e certi programmatori che le vanno dietro) pare interessarsi più ad autori di rottura quali Nono, Berio, Manzoni, Maderna - che presentavano in quegli anni partiture effettivamente innovative come Intolleranza 1960, Folksongs, Atomtod, Don Perlimplin – piuttosto che ad un musicista non solo politicamente appartato, ma per di più - colpa gravissima, imperdonabile per taluni - volutamente lontano dalle contemporanee avanguardie. E' vero, Hazon rivolgeva il proprio sguardo, al massimo, ai grandi del Primo Novecento: ma allora, perché Il Cappello di paglia di Rota gira ancora, e L'amante cubista no?  Per inciso, un'inspiegabile damnatio memoriae gliela decretò - quando era ancora in vita,poi - il ben noto Dizionario dell'Opera Baldini & Castoldi, che non cita né il suo nome, né tantomeno nessuna delle sue opere teatrali; questo mentre trova spazio per titoli non sempre memorabili - quali Amleto di Mario Zafred o Vivì di Franco Mannino - apparsi negli stessi anni che lo videro più attivo.

Detto questo, dobbiamo pertanto un caldo ringraziamento alla Fenice perché – unendola in dittico ad un altra deliziosa operina, peraltro mai scomparsa dai cartelloni come Il segreto di Susanna – ha riportato in vita per noi la piacevolissima  Agenzia matrimoniale, atto unico dato per la prima volta nel gennaio 1962 al Regio di Parma; e replicato dopo per molti anni, con calde accoglienze di pubblico, in moltissimi teatri. Due sono i personaggi principali: Argia, matura guardarobiera di cabaret che sogna d'essere stata in passato da famosa attrice, ed Adolfo, un attempato e modesto assicuratore. Il loro incontro avviene in un'agenzia matrimoniale ma lui, che si era presentato come uomo di buona posizione, pur restandone innamorato presto la evita. Il motivo? Il timore di non essere all'altezza di lei, che però si sentirà tradita ed abbandonata, tanto da inscenare un semi-tragico tentativo di suicidio da diva del grand-opéra. Il lieto fine prevede il loro casuale ritrovarsi, la reciproca confessione d'aver mentito, e la speranza di poter vivere una serena vita coniugale, senza bugie ed inutili illusioni. Il sapido libretto (di Hazon stesso e della moglie Ida Vallardi, della nota dinastia editoriale), costituisce lo spunto per addensare in poco spazio una fluida serie di scene 'chiuse', prima delle quali la popolaresca canzone della Barbona, la venditrice di oroscopi, che imprime un'aria popolare alla storia, per l'uso del dialetto milanese e l'accompagnamento della fisarmonica. Scene nelle quali, tra l'altro, paiono rivivere in chiave moderna, con procedere sornione ed ammiccante, certi momenti topici dell'opera classica, dall'impeto di collera al classico duetto d'amore; e che trovano il momento culminate nella divertente scena del progettato suicidio - «Sì, saprò morire da grande attrice» - dove Argia si immedesima in un buon numero di celebri eroine teatrali – tutte abbandonate, va da sé - d'ogni tempo e luogo. Grazi anche ad un'esecuzione convinta – ne parliamo poi -  abbiamo avuto conferma che ancor oggi Agenzia matrimoniale sappia essere una partitura intrigante, sottesa da una vena di sottile, e divertita ironia, sostenuta da un piacevole melodismo e da garbate scelte strumentali. Datecela ancora.

A seguire, Il segreto di Susanna, uno dei vertici dell'arte seducente di Ermanno Wolf-Ferrari, satura di cristallina musicalità, operina deliziosa sulla quale è inutile spendere troppo parole. Il palese legame tra i due lavori è quello della bugia, qui presente nella persona della giovane Susanna che cela al maritino l'innocente vizietto del fumo, destando però in esso equivoci sospetti di tradimento che verranno ovviamente presto dissipati. Ed anche qui, come spesso accade nel compositore veneziano, si sprecano le citazioni dei tempi passati e del melodiare d'un tempo – due mondi che però qui si fanno già più lontani che in Hazon. Basti pensare ai luminosi incisi strumentali dal sapore goldoniano, oppure all'inquisire sospettoso di «Sedete qui vicino, e discorriamo, mia candida colomba», al successivo trepidante duetto d'amore («Là nel giardino...») che rievoca il loro primo incontro: due momenti, questi, che paiono arieggiare con spirito acquarellistico persino l'Otello di Verdi.
Mi resta ahimé ora poco spazio per commentare questi due spettacoli – accostati con intelligenza e presentati al Teatro Malibran nei giorni del Carnevale veneziano – cominciando da loro lato migliore, che è quello della conduzione musicale del giovane Enrico Calesso dimostratosi concertatore lodevolissimo sotto ogni aspetto: sotto le sue mani l'Orchestra della Fenice trova bellissimi colori e grande varietà di nuances, ritmi spigliati, teneri abbandoni, trasparenza e lucentezza incantevoli; ed i cantanti, da parte loro, ricevono da entrambi un supporto ideale. Il cast di Agenzia matrimoniale, formato da Gladys Rossi (Argia) e Armando Gabba (Adolfo), più Elisabetta Martorana a dar corpo alla Barbona, funziona che meglio non si può; ma è soprattutto Gladys Rossi a donarci una delle sue interpretazioni più complete e sfaccettate. Ne Il segreto di Susanna, Bruno de Simone mette in campo la sua innata, enorme musicalità, e l'innegabile versatilità attoriale: gli così riesce di tratteggiare un Conte Gil travolgente, rendendone quella variegata personalità che ora cade nel comico, ora nel grottesco, ora s'intenerisce nel cuore. Gli tiene fianco saldo la  civettuola, languida e tenera (ma all'occorrenza puntigliosa) Arianna Venditelli, spigliatissima Susanna. Il mimo Davide Tonucci impersonava abililmente il maggiordomo Sante.
La regia dei due lavori, portata avanti con leggeri tocchi e delicate pennellate, è punto di merito per Bepi Morassi, una delle colonne portanti del massimo teatro veneziano; lo spettacolo esce dall'ambito dell'Atelier della Fenice al Teatro Malibran, ampio progetto che vede la collaborazione diretta dei docenti e degli allievi della Scuola di Scenografia dell'Accademia veneziana. In questo caso, di Sebastiano Spironelli (scene), Caterina Righetti (costumi), Paola Cortellazzo e Giovanna Fiorentini (laboratorio progettazione e realizzazione costumi), Franco Daniele Venturi (laboratorio scene). E' grazie a loro che resta impressa la memorabile triplice sfilata d'abiti femminili appesi alle spalle di Argia nel lavoro di Hazon, che vedete a fianco.
(Foto Michele Crosera)

Visto il 23-01-2016
al Malibran di Venezia (VE)