Lirica
AIDA

Aida fra le corde

Aida fra le corde

Le due inaugurazioni del San Carlo nell'anno del bicentenario offrono i titoli forse più rappresentati, Traviata nel 2012 (recensione presente nel sito) e Aida nel 2013, quest'ultima affidata al debuttante (nella regia lirica) Franco Dragoni, avellinese naturalizzato belga, “artista di fama mondiale” a cui è stata affidata la cura delle cerimonie di apertura e chiusura dei mondiali di calcio in Brasile, specializzato in spettacoli visionari e supportati da grande innovazione tecnologica.
Alla sua Aida non servono i riferimenti storici e geografici ma solo simboli: il sole e la luna, il deserto e il cielo, il rosso e l'oro, ma soprattutto le corde. Infatti la scenografia di Benito Leonori circonda il palcoscenico di corde lunghissime a fare i quattro lati come una sorta di prigione e l'efficace soluzione da sola basterebbe a motivare lo spazio (che lascia visibile il grande arco di fondo scena del San Carlo), rendendo inutili i riferimenti alla classicità con colonne romane rovesciate sospese nell'aria e una scultura rinascimentale imbrigliata e similmente sospesa a testa in giù. Le proiezioni, curate da Olivier Simola, un po' confondono le idee con immagini di piramidi, aquile in volo, temporali. Un grande disco sospeso in palcoscenico accoglie fiamme infuocate per il sole e toni algidi per la luna. Si fatica a comprendere la connessione dei costumi di Giusi Giustino, soprattutto la coppia reale padre-figlia vicina a Macbeth-Lady in versione dark, pur riconoscendo la cura e l'inventiva. Evidentemente sono ritenuti estranei i balletti che vengono eseguiti dal corpo di ballo del teatro in tutù e calzamaglie con effetto saggio di fine anno su coreografie di Alessandra Panzavolta. Essenziali per la riuscita dello spettacolo le splendide luci di Michel Beaulieu.
Il regista Franco Dragoni sceglie come protagonista il deserto e l'umanità in conflitto che si muove in uno spazio estraneo e ostile; così immette in palcoscenico (e li tiene sempre in scena) un gruppo di mimi-ballerini con abiti lacerati che si muovono strisciando o ingobbiti a simulare gli sconfitti, gli emarginati, gli ultimi di cui da sempre (e in particolare recentemente) sono piene la storia e la cronaca. Così il trionfo ha uomini ai ceppi e un grande drappo insanguinato. Per il resto i protagonisti si limitano a raggiungere la posizione prevista e cantare, anche con ripetute inesattezze (Amneris chiede ad Aida di guardarla in viso e lei stessa è rivolta al pubblico, Amneris chiede alle guardie di portare Radames che è già in sua presenza). Una frase di Giuseppe Verdi viene proiettata sul sipario: “copiare il vero può essere una buona cosa, ma inventare il vero è meglio, molto meglio”.

Meglio, molto meglio sul versante della direzione musicale, assolutamente non convenzionale e dunque interessante. Nicola Luisotti ha gesto molto elegante, impone tempi precisi e preferisce i suoni intimi alla grande magniloquenza: egli è un vero interprete e si discosta con intelligenza da quanto solitamente si ascolta, trovando le intime ragioni e i dettagli della partitura che rendono l'opera un capolavoro. Luisotti sottolinea per tutto il tempo l'intimità e il momento del trionfo gli serve per meglio far risaltare il dramma privato, a cui dà voce tramite i solisti che visualizzano coordinate espressive assai complesse.

Il ruolo del titolo mette alle corde Kristin Lewis: la voce è piccola e fatica a raggiungere la platea, scompare nel grave anche a causa dei fiati corti e, nelle salite all'acuto, talvolta è al limite dell'intonazione, come in “Patria mia”. Stuart Neill è un corretto Radamès in sostituzione del previsto Jorge De Leòn, particolarmente apprezzato per il registro acuto pieno e generoso. Altra sostituzione per Amneris, interpretata da Enkelejda Shkosa con grande veemenza e capelli punk. Claudio Sgura è un Amonasro cupo e scuro, imponente fisicamente. Nonostante il ruolo non da protagonista, si è apprezzato sul resto del cast Orlin Anastassov, il cui Ramfis ha bella voce e presenza scenica rilevante. Il Re di Dario Russo è poco ieratico e autorevole, impacciato nei movimenti dagli strascichi degli svolazzanti costumi. Con loro, precisi, la Sacerdotessa di Valeria Sepe e il Messaggero di Massimiliano Chiarolla avvolto in una nuvola rossa di tulle. Il coro del teatro è stato preparato da Salvatore Caputo.

Teatro praticamente esaurito, pubblico generoso con gli applausi sia a scena aperta che nel finale.

Visto il
al San Carlo di Napoli (NA)