Lirica
AIDA

AIDA WAGNERIANA

AIDA WAGNERIANA

La Scala recupera l'Aida di Zeffirelli del 1963, anche in occasione del decennale della scomparsa di Lila De Nobili. Di lei scrive Vittoria Crespi Morbio nel programma di sala: “Lila De Nobili (1916-2002) era una donna schiva e solitaria; è difficile recuperarne un ritratto fotografico, persino una firma. Eppure è tra le pittrici-scenografe il cui segno rimane inconfondibile”. E inconfondibile è il segno delle scenografie dipinte di questa Aida che si rifà a quelle di matrice ottocentesca: interni sontuosi dominati da tendaggi a frange, scorci di templi caratterizzati da colonne con quattro faccioni nei punti cardinali (come ad Angkor in Cambogia), esterni pennellati dallo scolorare della luce. Nella seconda scena del quarto atto il piano del palcoscenico si solleva a svelare l'interno della tomba. I cambi scena, pensati per un'epoca ormai lontana dall'odierna tecnologia, allungano notevolmente i tempi dello spettacolo, che supera abbondantemente le quattro ore, avvicinandosi alle opere wagneriane. Però le luci di Marco Filibeck, pur precise ed efficaci, rivelano impietosamente il limite di quelle scenografie dipinte le quali, certamente, sono dei capolavori nei bozzetti originali della De Nobili e che in questo caso meno rendono quell'effetto di trasparenza della sabbia e della luce a rimando dei sentimenti.

I costumi, sempre di Lila De Nobili, mescolano il gusto ottocentesco degli orientalisti, il folklore per le culture lontane e sentite come “primitive”, il kitch del kolossal cinematografico anni Sessanta: frange e riporti, specchietti luccicanti e pietre colorate, oro e lustrini, piume ovunque.
La regia di Zeffirelli, ripresa da Marco Gandini, rivela luoghi comuni ormai sorpassati da tempo. Il movimento è poco e limitato (avanti e indietro, le braccia in alto oppure tese verso l'interlocutore) e la famosa marcia si risolve in uno sfilare di statue, labari, stendardi, baldacchini, falangi di soldati variamente abbigliati, alcuni con pelli blu o verdi, persino due cavalli che oggi non generano certamente più stupore. Una staticità certo pensata per un tempo in cui i cantanti erano divi assoluti al punto da catalizzare l'attenzione del pubblico dell'epoca. Una novità sono i due baci che, discutibilmente, Radamès appioppa alle labbra di un'incredula Amneris: nel primo atto e poi ancora nella prima scena del quarto.
Le coreografie di Vladimir Vasiliev, nuove rispetto all'edizione storica, sono tradizionali nella danza dei moretti, che viene quasi replicata da adulti nel secondo atto, mentre il duetto nel trionfo è affidata a un selvaggio di pelle scura (Gabriele Corrado) e a una eterea occidentale (Sabrina Brazzo); nel finale torna, come un'apparizione, l'Akhmet di Deborah Gismondi vista all'inizio.

Liudmyla Monastyrska è un'Aida dalla voce piena e potente, salda nell'acuto e sonora nel grave; una maggiore cura degli accenti avrebbe messo maggiormente in luce le potenzialità sentimentali di un personaggio ricco di aspetti (e contrasti) interiori. Il Radamès di Jorge De Leon è meno saldo ma la voce è giusta per timbro ed estensione, seppure il fraseggio non sia esemplare. Marianne Cornetti ha rivelato un grave spolpato che non viene sopperito dal centrale, vista la tessitura del ruolo, e una voce appannata, incapace di rilievo. Generico l'Amonasro di Andrzej Dobber, precisi il Ramfis maturo di Giacomo Prestia, il Re giovanile di Roberto Tagliavini e il Messaggero di Enzo Peroni. Luminosa e perfetta la Sacerdotessa di Pretty Yende. Il coro è stato efficacemente preparato da Bruno Casoni, al corpo di ballo diretto da Makhar Vaziev si sono uniti gli allievi della scuola di ballo dell'Accademia della Scala diretta da Frédéric Olivieri.
Della direzione di Omer Meir Wellber si è apprezzato il tentativo di proporre un'Aida non di routine, puntando su archi sontuosi e morbidi che però non sono stati bastevoli nell'economia del risultato finale (il direttore aveva già diretto le compagini scaligere a Tel Aviv nella stessa opera).

Teatro esaurito, pubblico abbastanza tiepido, nel finale applausi per tutti.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)