Milano , teatro alla Scala, “Aida” di Giuseppe Verdi
TORNA AIDA, BARENBOIM VINCE
Aida aveva inaugurato la stagione scaligera 2006-2007 con gran clamore, per il ritorno del titolo dopo oltre vent’anni nella produzione kolossal firmata da Franco Zeffirelli , divenuta famosa per l’abbandono della scena da parte di Roberto Alagna. Ora il costoso allestimento viene riproposto in un periodo in cui altre Aida affollano le arene estive e fa di nuovo il tutto esaurito. Passate le polemiche e il battage pubblicitario, la ripresa risulta meno ridondante e piace di più, merito della straordinaria direzione di Daniel Barenboim, che ha dato vero significato all’opera, illuminandola di nuova luce e relegando la regia a supporto scenografico, gradevole ma secondario.
L’Egitto ricreato da Zeffirelli è esteriore e calligrafico, un décor vicino al nostro immaginario di Aida, mutuato dalle rappresentazioni dell’Antico Egitto dell’industria hollywoodiana, in un trionfo di divinità e faraoni, sfingi e colonne, dove riproduzioni fedeli dei templi di Karnak si mescolano a un Egitto di fantasia, splendente di ori, argenti e pietre preziose, schiavi dipinti di blu e bacchette dorate sospese per stupire e dare quell’idea di esotico che non esiste più, ma che conserviamo nella memoria. Tutta finzione, d’accordo, ma realizzata a regola d’arte con estrema precisione figurativa e attenzione a dettagli e materiali e così il kolossal non scade nella paccottiglia.
Zeffirelli ci conduce attraverso un set monumentale e faraonico, quasi una summa dell’arte e cultura egizia, che appaga l’occhio per la scelta dei colori, dei tessuti e delle luci. Raffinato l’appartamento di Amneris, quasi un quadro di ispirazione esotica di Alma Tadema, dai paraventi azzurrini impreziositi da delicati fiori di loto e uccelli contro uno sfondo carta da zucchero con due buoi smaltati che sostengono un letto e stuoli di ancelle che suonano arpe dorate.
L’Egitto hollywoodiano trova il suo apice nella scena del trionfo, piena all’inverosimile di comparse, statue appese, decori, vessilli e una doppia scalinata che ricorda il festival di Sanremo. Zeffirelli muove bene le masse, ma qui sembra tutto ammassato con un effetto bassorilievo e la disposizione frontale accentua la prevedibilità dei movimenti negando ogni aspetto drammatico.
La scena notturna lungo il Nilo ricorda un film anni ’50 per il fondale azzurrino dipinto con rami frondosi e una immensa testa di pietra a ricreare un’atmosfera lussureggiante e tropicale da esotismo di maniera.
Efficace la scena finale: l’immenso palcoscenico avvolto nella penombra carico di statue e colonne si alza completamente per mostrare i bui sotterranei dove sono imprigionati gli amanti per poi riabbassarsi seppellendo Aida e Radamés per sempre. La regia è debole da un punto di vista drammaturgico e risulta inutile la presenza della sacerdotessa Akhmen, figura spirituale, “conduttrice di energie celesti“, creata da Zeffirelli per accompagnare il destino dei personaggi, ma che in realtà compromette la drammaticità insita nella musica e nella situazione.
Senza punte di eccellenza il cast vocale, Marion Feubel, se pur priva di autentico carisma, ha voce di bel timbro e buona tenuta, che le consente di risolvere il ruolo di Aida con onore. La cantante dal buon registro acuto sfoggia inoltre suggestivi pianissimi nella ripresa di “ Numi Pietà “. Delude Walter Fraccaro, Radamés monocorde e spento, né guerriero né amante. Rispetto ad altre interpretazioni la voce è apparsa piuttosto affaticata, nasale e povera di spessore. Anna Smirnova ha timbro scuro e grande volume, ma la linea di canto fuori controllo e la debole tecnica ne fanno un’Amneris senza sfumature, uterina e sguaiata. Nonostante qualche passaggio poco a fuoco Juan Pons dona ad Amonasro giusto stile e proprietà di fraseggio. Carlo Cigni è un Re vocalmente apprezzabile. Poco autorevole, in un ruolo che richiede forte ieraticità, il Ramfis di Giorgio Giuseppini. Antonello Ceron è il Messaggero e Sae Kyung Rim la Sacerdotessa.
Daniel Barenboim riesce con una direzione tesissima e struggente, sinfonica e cameristica al tempo stesso, a farci dimenticare eccessi scenografici e limiti vocali e a sfatare certi pregiudizi nei confronti di un’opera che, depurata dalle scorie convenzionali, emerge in tutta la sua complessità e nel suo dramma privato. Il direttore sottolinea l’aspetto interiore con una lettura che scava nel particolare, facendo scaturire la verità di stati d’animo e situazioni, variando colori e spessori con un magma sonoro che avvolge di tinta tragica gli aspetti trionfali in un tutto unitario e coerente. Grande rilievo hanno gli strumenti solisti (la straziante dolcezza dell’oboe, le folate dei violoncelli, il singhiozzo degli archi) che supportano talmente il canto da farsi quasi parola.
Accanto a un’orchestra particolarmente affiatata e pulsante il coro in ottima forma è diretto da Bruno Casoni. I primi ballerini Sabrina Brazzo, Andrea Volpintesta e Flavia Vallone hanno riproposto con precisione le essenziali e pertinenti coreografie di Vladimir Vassiliev.
Teatro esaurito e applausi per tutti, ma un solo vincitore: Daniel Barenboim.
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 25 giugno 2009
Ilaria Bellini
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)