Non sbagliava la mia amica che fa la maschera alla Scala a chiedermi, a novembre, se sarei andata a vedere “Aidona”: Zeffirelli ha creato una grande Aida, monumentale, faraonica.
Un'Aida com'è nell'immaginario collettivo, come siamo stati abituati a vedere negli anni all'Arena di Verona oppure a Caracalla: poco importa se c'è oro invece che argento o se domina il celeste invece che il verde, purchè sia ridondante, kitsch, come deve essere o come noi occidentali immaginiamo l'Oriente, con tutti gli effetti hollywoodiani di mera esteriorità che questo comporta. Inevitabilmente? Non lo so. Magari però alla Scala ci si aspettava qualcos'altro, poiché lo spettacolo ha mostrato i limiti di una regia quasi inesistente, se non per la bella intuizione dei grandi uccelli che volano sul palcoscenico alla fine del secondo e del quarto atto al momento dell'invocazione “Fthà”. E soprattutto questa costosa “scatola” strapiena e sovrabbondante (quei tubi orizzontali onnipresenti che costituiscono la cifra dell'allestimento) rischia di far sparire nell'eccesso tutto il resto, di appannare le finezze psicologiche verdiane.
Riccardo Chailly dirige in modo encomiabile l'orchestra, attento alle sfumature e agli strumenti solisti, seppure in alcune dichiarazioni ha avanzato interpretazioni esoteriche di una partitura invero obbligata dallo schema della grand opéra e dalla commissione di Ismail Pasha, kedhivè d'Egitto, il quale, in caso di mancato gradimento, si sarebbe forse rivolto ad altri compositori. Chailly è raffinato ed elegante nei momenti intimi, enfatico e potente nei momenti eroici e politici e ben concerta gli strumenti e le voci, assecondato da un'orchestra e da un coro in forma smagliante. Violeta Urmana ha una voce di un bellissimo colore ma poca dolcezza nell'interpretazione. Ildiko Komlosi è la migliore in scena per timbro, vocalità, interpretazione. Walter Fraccaro sente di certo il peso del ruolo e della pubblicità di riflesso (in positivo o in negativo ancora non si sa, di certo chi ha abbandonato era conosciuto solo da un pubblico ristretto fino a pochi giorni fa, ora ha fama mediatica.. un'abile operazione di marketing?) ma arriva in fondo con molta professionalità e non delude le aspettative.
Carlo Guelfi è un Amonasro quasi verista nelle movenze e nell'impostazione vocale; Marco Spotti un re ieratico e distaccato; Orlin Anastassov un Ramfis giovane. Roberto Bolle ha avuto il solito tifo da stadio, mandando in visibilio la platea femminile con l'esibizione di glutei denudati in una danza etnica e tribale dai forti connotati sulle coreografie di Vladimir Vassiliev. Emozionante la presenza in scena della ineguagliabile Luciana Savignano, figura enigmatica, silente, misteriosa che ricorre in tutti gli atti, rischiando però a volte di apparire di troppo (come nell'ultima scena, in cui l'invocazione di Amneris alla pace avrebbe avuto bisogno di maggiore intimità). Pubblico avaro con i cantanti nei primi atti della recita, tranne durante il balletto, poi sciolto via via: un grande successo alla fine per tutti. Come ci si aspettava per una “grande” Aida. Aidona, appunto. Un kolossal che piace al pubblico.