Roma, teatro Costanzi, “Aida” di Giuseppe Verdi
AIDA, LUCE E OMBRA
Con il 2009 l'Opera di Roma inizia un nuovo corso, affidandosi al giovane e talentuoso Nicola Sani. Ne è esempio questa Aida con cui si inaugura la stagione, produzione dei due teatri “reali” della Monnaie e di Covent Garden. Uno spettacolo rarefatto, esemplare dell'arte di Bob Wilson, uno spettacolo a torto giudicato d'avanguardia, in quanto presenta le scelte stilistiche che connotano da anni il texano.
Il palcoscenico è svuotato e abitato solo dalla luce (e dal suo opposto ombra). Luce che è la vera protagonista della messa in scena, utilizzata in modo sublime. L'Egitto viene suggerito in modo simbolico ed allusivo con grande eleganza: l'interno di un tempio è reso con un'apertura trapezoidale sullo sfondo; il Nilo è un riflesso sul pavimento; le piramidi sono solo contorni, incroci di tubi innocenti. I colori dominanti azzurro, bianco e nero, con l'aggiunta del sabbia per i costumi di Jacques Reynaud. Eppoi fondali che scorrono in orizzontale e in verticale (scene e luci dello stesso Wilson). La luce illumina il fondale nero, la luce scandisce l'evolversi della vicenda e gli stati d'animo dei protagonisti. Che rimangono per lo più immobili in pose da geroglifico, congelati, senza mai toccarsi, quasi sempre di profilo, le braccia piegate ad angolo retto, le mani a uncino. Purtroppo però impacciati. E non bastano le coreografie meccaniche e neoclassiche di Jonah Bokaer.
Inquietante l'inizio, col palco vuoto tranne una roccia isolata e un obelisco inclinato che pende dal soffitto come il dito di Dio nella cappella Sistina. Ritorna in vari momenti una figura in rosso che attraversa la scena lentamente. Particolare il quarto atto, completamente al buio: due lame di luce colpiscono i visi dei due amanti (azzurro) e le loro mani sollevate e immobili a palmo aperto (bianche). Sullo sfondo Amneris cammina a ritroso, il cielo è una strana alba verdastra che illumina naufraghi e migranti. Il tutto appare però un po' forzato rispetto alla musica di Verdi.
Contrasta con tale visione intima e rarefatta, estremamente raffinata, la direzione orchestrale di Daniel Oren: il suono è chiassoso, l'orchestra cerca più il volume o l'effetto piuttosto che le delicatezze ed i colori, le note non sono a fuoco, i suoni risultano poco puliti.
Il coro si muove con una sorta di misteriosa sacralità ed è preparato da Andrea Giorgi.
Hui He è un'Aida corretta con tutte le note giuste, dalla voce pulita e luminosa ma completamente priva di fascino. Giovanna Casolla risolve con l'esperienza il ruolo di Amneris, carente dal punto di vista dei gravi (è un soprano e come tale questa non è la sua parte). Mediocre il Radames di Salvatore Licitra: titubante nell'iniziale Celeste Aida, in difficoltà nel terzo e nel quarto atto non solo negli acuti ma nell'intero registro alto col fiato cortissimo, scompare del tutto nei duetti. Ottimo il Ramfis di Carlo Colombara; buona la prova anche per Ambrogio Maestri (Amonasro). Non bene il re di Carlo Striuli.
Teatro gremito, qualche contestazione a scena aperta; alla fine applausi misti a (pochi) fischi. Durante l'unico intervallo nei corridoi e nel foyer dissensi per la regia: il pubblico romano vorrebbe Aida con gli elefanti.
Visto a Roma, teatro Costanzi, il 24 gennaio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Costanzi - Teatro dell'Opera
di Roma
(RM)