Nel 1921, per amore di un soprano, il conte Pier Alberto Conti allestì per la prima volta un’opera, Aida, allo Sferisterio, stadio per la palla al bracciale pensato negli anni Venti dell’Ottocento dall’architetto settempedano Ireneo Aleandri, uno degli spazi all’aperto più suggestivi al mondo. Da allora si sono succedute cinquanta stagioni e, ça va sans dir, le nozze d’oro si celebrano con Aida. Il nuovo allestimento, in coproduzione con il teatro Comunale di Bologna, porta la firma di Francesco Micheli, da tre anni direttore artistico dello Sferisterio e profondo innovatore (con meritato successo) del Festival maceratese.
In questo caso la storia è narrata da Ramfis, sacerdote e scriba nell’era digitale, e dallo schermo del computer si trasferisce sul muro dello Sferisterio trasformato in laptop gigantesco, come fosse un moderno papiro. Le immagini sono ispirate al Libro dei morti e la storia di Aida ne fa parte, per cui i protagonisti si muovono nello spazio di un computer portatile pensato da Edoardo Sanchi (non ci sono comparse, i coristi siedono su sgabelli ai lati con in mano schermi illuminati) e i loro gesti sono inseriti nella cifra di Francesca Ballarini, da tre anni autrice della grafica per la comunicazione del Festival. In questo senso gestualità e movimenti dei cantanti sono essenziali e rarefatti, una sorta di bidimensionalità che si completa con i tratti grafici sul muro. I costumi di Silvia Aymonino danno un’idea futuribile dell’ambientazione sia nei materiali che nelle forme con segni (bianco e nero) che rimandano a Keith Haring. Anche le coreografie di Monica Casadei, eseguite dalla compagnia Artemis Danza, tra break dance e hip hop, si radicano nel contemporaneo volendo rendere i movimenti di un animale nella savana e i combattimenti corpo a corpo con la conseguente, faticosa e rumorosa, emissione di fiato. Splendide e fondamentali per l’economia dello spettacolo le luci di Fabio Barettin, infinita possibilità cromatica di rendere sempre nuovo e diverso quello che non muta e di dare concretezza e significato agli snodi drammaturgici.
Tutto è essenziale e, per evitare le comparse, la sfilata del Trionfo è lo scorrere di moderni geroglifici come un fumetto a strisce. In questo contesto le proiezioni si impongono come mappe concettuali che si rimandano reciprocamente: nomi, simboli, figure, personaggi in carne e ossa (ad esempio “Guai se”, riportato anche nelle magliette del merchandising, è reso con un occhio allungato).
I tre nuovi allestimenti della stagione del cinquantenario, intitolata “L’Opera è donna”, vedono sul podio tre donne. Qui Julia Jones assicura una direzione di buon mestiere, senza calcare la mano su contrasti e dinamiche mordenti ma cercando sonorità cameristiche più in linea con l’intimità della partitura, dove i momenti monumentali sono ben pochi, e con l’idea registica di intimità. La seguono con ordine disciplinato nei tempi larghi imposti dalla bacchetta inglese i professori dell’Orchestra Regionale delle Marche e, dal palcoscenico, i componenti della banda Salvadei.
Fiorenza Cedolins dedica il suo ritorno a Macerata al progetto ActionAid/Sferisterio per il riscatto economico e sociale delle donne nel distretto di Azernet, a sud di Addis Abeba; la sua Aida assomiglia a un’immagine iconica di Lady Gaga per la parrucca bianca e stopposa e la mascherina nera disegnata sugli occhi; vocalmente il soprano si sente particolarmente a suo agio nei momenti intimi in cui il canto assume sfumature, in risalto grazie alla prova attoriale impostata su una ieratica compostezza. Particolarmente intelligente l’esecuzione di Sonia Ganassi: la sua Amneris ha dizione curatissima e verso scolpito, mezzevoci suggestive, acuti solidi e sicuri e un grave di particolare spessore e sonorità per rendere il ruolo centrale nell’idea registica (al punto che Amneris accompagna in scena Radames nel duetto con Aida del terzo atto), non la solita “cattiva” ma una donna di particolare complessità, lacerata tra mondi in contrasto insanabile. Accanto a loro non ha sfigurato Sergio Escobar, Radames dalla voce squillante e pulita, seppure con qualche affaticamento nella seconda parte dopo l’intervallo unico, soprattutto nel duetto con Aida del terzo atto. Elia Fabbian è un Amonasro tonante e vibrante, anch’egli con mascherina nera disegnata sugli occhi. Giacomo Prestia è un corretto Ramfis in doppio ruolo: scriba con giacca, pantaloni e scarpe bianchi, sacerdote in camicione bianco e a piedi nudi. Seppure nel ruolo marginale e invisibile al pubblico della Sacerdotessa, è brava Marta Torbidoni. Con loro il Re di Cristian Saitta, il Messaggero di Nazzareno Antinori e il coro lirico marchigiano preparato da Carlo Morganti.
Lodevole l’iniziativa di aprire la prova generale del 15 luglio ai giovani con un biglietto simbolico. Dopo la prima, tre le repliche in calendario (27 luglio, 2 e 10 agosto): per il due agosto previsto un servizio di audio descrizione per gli ipovedenti, gli ipoudenti possono sempre contare sui sovratitoli proiettati ai due lati del monumentale muro di mattoni.