Leo e Francesca hanno appuntamento in un bar old fashioned. Lei, mentre lo aspetta, ha già ordinato diversi cocktail per entrambi. Lui, quando arriva, è nervoso, affettato, timido, in ritardo.
Qual è la natura del loro incontro?
Un appuntamento al buio? Un incontro galante? Un rendez-vous per cuori solitari?
Il pubblico può immaginare quello che meglio crede.
Poi, dai dialoghi tra i due, allusivi e non troppo chiarificatori, l'arcano viene lentamente svelato.
Francesca è la madre di Andrea, uno studente ventenne e, si scoprirà, viziato; Leonardo ma tutti mi chiamano Leo, è il professore di Andrea e anche il suo fidanzato.
L'incontro, voluto da Francesca in gran segreto, Andrea non deve sapere nulla, all'inizio è sbilanciato in favore di Leo che, nonostante le descrizioni di Andrea sulla sua terribile madre soprannominata Zarina di tutte le Russie, ha accettato di incontrare la donna, per conoscerci gli spiega lei.
Quando però Francesca svela diversi particolari della vita privata di Andrea, che Leo ignora, è il professore a essere in difficoltà, complice l'alcool che Francesca è abituata a bere, mentre Leo no.
Inizia così un vero match tra i due, diversamente ma entrambi innamorati del ragazzo, senza esclusione di colpi. Ogni volta che il pubblico crede di avere inquadrato la situazione, i personaggi e il loro vissuto ecco, che la commedia vira, sorprende, e, senza bisogno di cambiare le carte in tavola, illumina i due personaggi da un altro punto di vista, sposta prospettive e puntualizza i loro vissuti, rende complesso quel che di solito la commedia ci abitua a semplificare, mentre per De Bei commedia significa leggerezza, quella indicata da Calvino, non certo superficialità.
Al nostro amore è un testo scritto con il gusto di attenersi a un preciso registro linguistico, la cui coerenza sta sì nello stile narrativo, la commedia brillante, che De Bei caratterizza con una comicità sofisticata, colta, quasi, sicuramente elegante, ricca di invenzioni linguistiche e di battute che fanno scaturire risate a scoppio ritardato, intelligenti, di cuore, non certo di pancia, ma risiede soprattutto nella capacità sorprendente del suo autore di scrivere dialoghi credibili, radicati nella realtà dei suoi personaggi.
Scevri da ogni codificazione e da ogni cliché, privi sia di quell'aura letteraria che ne tradirebbe l'artificiosità che di certa vocazione alla comicità facile di grana grossa cui certo teatro nostrano indulge disinvoltamente, nella penna di De Bei Leo e Francesca sono delle persone prima ancora che dei personaggi, trattati con rispetto mentre ce ne mostra contraddizioni e risvolti delle loro vite e personalità.
Persone che De Bei descrive (cioè costruisce) partendo da un punto di vista laico, scevro di ogni giudizio morale, e dunque di ogni eco moralista, asservita alla colpa cattolica, ma non per questo privo di una sua solida etica, riuscendo a mostrane aspetti negativi e positivi senza metterli alla gogna per i primi o usare i secondi come esortazione al perdono o alla comprensione, lasciando libero il pubblico di prendere distanze o ...vicinanze da e verso loro.
Francesca è stracolma di una serie di cliché e pregiudizi sulla e contro l'omosessualità maschile che rimangono radicati nel personaggio e solo da quel punto di vista si fanno anche esempio di una mentalità da criticare.
Dei cliché impiegati con estrema attenzione senza mai essere usati per cercare una complicità giudicante o ammiccante con il pubblico.
Così quando Leo si scusa del ritardo, adducendolo al navigatore impazzito, e si fa scappare un commento sulla voce insopportabile del navigatore perchè femminile, De bei gli fa subito chiedere scusa ammettendo che la voce era insopportabile di per sé e che il fatto che fosse femminile non c'entra nulla.
Così l'autore i riesce a mostrare la parte manipolatrice e omofoba di Francesca senza (s)cadere nella misoginia o in certa compiacenza maschilista nel costruire un personaggio femminile insopportabile e stronzo.
Nè cade nel rischio opposto di costruire la fragilità di Leo individuando nella solitudine che lui le racconta con franca sincerità - tanto che Francesca se ne basisce commentando che lei credeva il mondo gay fosse tutto amici e discoteche - un che di femminile che lo accomuni a lei.
Nel confronto tra due amori diversi per la stessa persona De Bei trova modo di indicare, tra le righe, senza comporre un j'accuse, lasciandolo emergere quasi per caso, anche i comportamenti di Andrea che non è solamente vittima di una madre soffocante...
Una commedia di straordinaria eleganza dove il sottotesto scaturisce da una situazione precisa che rimane rigorosamente l'impianto drammaturgico centrale senza sacrificarlo per intavolare un discorso altro che c'è, a saperlo ascoltare.
Un testo che funziona anche grazie alla regia che nelle pause tra un dialogo e l'altro, nei movimenti apparentemente svagati dei suoi protagonisti, nella composizione della scena e nell'impiego delle musiche, elementi tutt'altro che esornativi, trova una messa in scena organica, corposa, godibile da ogni punto di vista.
La scena caratterizzata da un'atmosfera pop, tra cocktail colorati e una illuminazione
soft da locale anni 80 (che Leo trova demodè e che Francesca ama proprio
per quello) presenta una bancone sviluppato in larghezza posto frontalmente permettendo ai due interpreti di guardare verso il pubblico mentre i rispettivi
personaggi conversano.
Le musiche registrate eseguite da un pianoforte, del quale Leo si lamenta in continuazione, apparentemente innocenti e neutre sottolineano invece molti passaggi narrativi e psicologici dell'incontro tra i due: dai brani di Morricone per gli spaghetti western che evocano il duello tra madre e amante, a Cabaret dal film omonimo di Fosse, per sottolineare l'istrionismo di Francesca o, ancora, Aquarius da Hair quando l'alcool e una telefonata di Andrea cambiano le prospettive della commedia ancora una volta.
Last but not least la scelta degli interpreti che non poteva essere più indovinata.
Fabrizio Apolloni (un po' poco a suo agio nelle prime battute del suo personaggio) sa rendere benissimo l'affettatezza di Leo che con l'alcool si stempera in una rilassatezza che un osservatore maschilista potrebbe liquidare come effeminata, e invece non lo è, vestendo il suo personaggio di tutte le insicurezze derivategli da una carriera universitaria fatta di rinunce e attese e da una vita privata troppo incentrata sugli altri (non bisogna investire tutto su una sola persona - spiega a Francesca - altrimenti quando quella se ne va non ti resta più niente).
Pia Lanciotti è bravissima e camaleontica nel restituire ognuna delle sfaccettature del complesso carattere di Francesca con una misura e un savoir-faire invidiabili.
Le lacrime che le rimangono negli occhi, facendoglieli vacillare, sono tra le più sincere che ci sia mai capitato di vedere a teatro.
Luca De Bei si dimostra insomma ancora una volta uno degli autori e dei registi più interessanti del panorama italiano (e non solo) contemporaneo sia quando si dedica alla regia di testi altrui (è ancora in scena fino a domenica prossima Weekend di Ruccello al Della Cometa di Roma) sia quando porta in scena testi suoi, come questo splendido Al nostro amore o da lui adattati (al Dei Conciatori tornerà a Gennaio 2014 con una sua riduzione dal racconto L'obelisco di Edward M. Forster).
L'unica maniera per difendere il buon teatro, e quello di Luca De Bei ne è uno dei migliori esempi, è di riempire le sale, cosa che siete invitati e invitate a fare vivamente.
Avete tempo fino a Domenica 27.
Prosa
AL NOSTRO AMORE (HAPPY HOUR)
Un testo intelligente, una commedia imperdibile
Visto il
15-10-2013
al
Dei Conciatori
di Roma
(RM)