Musical e varietà
ALADIN - IL MUSICAL

Salvate la lampada di Aladino

Salvate la lampada di Aladino

Il re persiano Shāhrīyār uccide le sue spose al termine della prima notte di nozze, reiterata vendetta per tanti tradimenti subiti. Per avere salva la vita, la bella Sharāzād ha deciso di incantarlo, ammaliarlo con fantastiche storie, il cui finale sarà svelato solo nelle sere successive. E così avviene, per mille e una notte, finché il sovrano, ormai innamorato, desiste dal suo proposito di morte. Questa la leggendaria origine della famosa raccolta di novelle orientali, di cui fa parte (seppur non dalla prima versione) Aladino e la lampada meravigliosa: un giovane fannullone alle prese con geni, talismani, Gran Visir e qualsiasi tipo di rocambolesca avventura. Nel viaggio attraverso il tempo e le culture, questo racconto è divenuto patrimonio universale di grandi e piccini perdendo, come spesso accade (si pensi alle fiabe dei Fratelli Grimm o di Andersen), i caratteri conturbanti e cruenti in favore di una chiave di lettura più rassicurante.

Su questi presupposti si innesta il bel film d'animazione Alladin, prodotto dalla Walt Disney nel 1992: affascinanti colori e un'accurata sceneggiatura per le vicende, notevolmente sintetizzate, di questo povero giovanotto alla conquista del grande amore, grazie anche all'aiuto di un irresistibile genio (l'istrionico Robin Williams nel doppiaggio originale, che trova in Gigi Proietti un più che degno corrispondente nella versione italiana). Film per bambini e non solo, che riesce a parlare con sensibilità dell'insanabile abisso tra la crudezza del mondo e le speranze umane.

Questa l'evidente fonte d'ispirazione per Aladin. Il Musical, che vede rinnovare il sodalizio tra l'artista Manuel Frattini e i Pooh. Lo spettacolo debutta alla Versiliana, registrando un entusiasta tutto esaurito: due ore di frizzi e lazzi, effetti speciali che incantano e divertono un pubblico dall'età variegata. Peccato che, al di là di qualche trucco che accarezza lo sguardo, ci sia ben poco. Dialoghi esili, prevedibili, poveri nel dispensare esplosioni di facili sentimenti che travisano totalmente la fonte originaria; battute, freddure ripiegate su se stesse, sulle brutture e le meschinità di un'Italia per la quale c'è poco da stare allegri. Altrettanto didascalici i testi delle canzoni, che affannosamente spiegano senza evocare, e dimenticabili le melodie: davvero avremmo richiesto uno sforzo in più a chi come Stefano D'Orazio, e con lui gli altri compagni di viaggio Pooh, ha fatto la storia della musica italiana.

Aldo De Lorenzo concepisce rapidi e frequenti cambi scena, attraverso variopinti teloni scorrevoli a ricreare i caotici esterni del mercato di Baghdad, la prigione in cui viene rinchiuso Aladin e la grotta delle meraviglie. Interessante la scelta di costruire una reggia sopra le righe, grottesca, oltre la realtà: i componenti della corte sono caricature, vere e proprie maschere prive d'identità, impegnate in azioni e gesti che sembrano non corrispondere a una consapevole volontà individuale. Pur imprigionato nella debolezza drammaturgica, il cast di dieci interpreti e otto ballerini si rivela valido: spiccano tra tutti Simone Sibillano nei panni di un Jafar più buffo che cattivo, Silvia Di Stefano, la volitiva dama di compagnia Shadia, Alex Mastromarino, il dinamico Abù, e Andrea Spina, irresistibile Jago a cui sono riservate le battute più sagaci. Come sempre totalmente convincente nella danza, Manuel Frattini investe ancora nell'ormai usurata formula del bambino cresciuto, iniziando a tradire un'inadeguatezza nel ruolo, al di là dell'invidiabile forma fisica e dell'indiscutibile presenza scenica. Delude il Genio-Roberto Ciufoli, forse anch'egli penalizzato dal testo: fin da subito affaticato nelle tirate da mattatore, risulta eccessivo nella spasmodica ricerca della risata da strappare a qualsiasi costo.

Più uno scherzo che un sano gioco da bambini, che non riesce davvero a convincerci al di là delle entusiastiche (forse incondizionate?) ovazioni del pubblico. E dispiace per il Musical, genere "totale" che, se ben utilizzato, offre possibilità espressive illimitate: si crea invece il grande fraintendimento di una forma di spettacolo semplicistica, autoreferenziale, risultato dell'assemblaggio di cliché emozionali. Una tendenza che le notevoli produzioni estere e le opere popolari di Riccardo Cocciante riescono a evitare, al di là di personali valutazioni di gusto.
 

Visto il 08-08-2010
al La Versiliana di Pietrasanta (LU)