“Assomiglia all’ingenuità la saggezza.” E’ strano come proprio queste parole di Giovanni Lindo Ferretti vengano in mente di fronte a questo spettacolo - e all’opera in generale - di Cesar Brie.
Eppure già altre volte il taglio cantautoriale del suo lavoro è stato notato: con riferimento a De Andrè, alla canzone d’autore di ispirazione poetica, a quelle forme cioè di espressione la cui sincerità riflette il coraggio di mantenere l’ingenuità come forma di intelligenza, come forma di curiosità, come volontà di resistenza rispetto al cinismo e all’intellettualismo arido.
L’Albero senza ombra è un lavoro di denucia. «L’11 Settembre 2008 nel Pando, regione della giungla boliviana, si è consumato un massacro di contadini. A fine giornata i morti accertati erano 11, centinaia i feriti da armi da fuoco e decine le persone scomparse (tra cui diverse donne e bambini), alle quali nessuno, finora, ha restituito un nome, un volto, una storia», racconta César Brie nel foglio di sala.
Il taglio della narrazione sceglie di lasciar trasparire l’esperienza, piuttosto che la cronaca, senza rinunciare quindi al carico emotivo dell’attore/narratore in scena a vantaggio di elementi più informativi ma più freddi.
L’inchiesta aperta da Brie attraverso il documentario Morir en Pando, realizzato insieme a Manuel Estrada e Javier Horacio Alvazer in Bolivia, ha avuto un ruolo importante nell’indagine sulle collusioni fra il potere giudiziario e gli elementi del fascismo boliviano.
«I medici hanno falsificato autopsie e nascosto la gravità delle ferite di moltissimi campesinos». Il documentario e la denuncia non sarebbero stati possibili senza il lavoro del medico legale argentino Alberto Brailovosky, oggi perseguitato dal capo della Polizia Federale Argentina Nestor Valleca, perseguitato nel suo lavoro con l’accusa di aver fatto una perizia che non doveva essere fatta.
A lui Brie dedica gli applausi al terminare dello spettacolo: a entrambi il pubblico dedica il silenzio prima dell’applauso.