Il tema della crisi in Grecia, della svendita pezzo per pezzo di una delle più antiche e complete civiltà che la storia abbia conosciuto, è al centro della riflessione dei Motus già dal 2008, a partire dal contestato e osannato contest Let The Sunshine In.
Di questo studio, che ha portato all’allestimento, oltre che del già citato Let, anche di Too Late! e Iovadovia, Alexis rappresenta il culmine e la sintesi, pur senza chiudersi in una riflessione finale confezionata.
Un tema difficile si diceva, un percorso storico ancora in fieri di cui Motus traggono le fila ripescando, doverosamente, dal teatro greco, per ricondurlo ai Sex Pistols, ai graffiti, alla rabbia metropolitana: il che è già di per sé una sintesi, una intuizione drammaturgica che permette di risolvere la complessità delle domande proposte, proponendo un ordine aperto e declinandolo attraverso un linguaggio chiaro e riconoscibile come marca autoriale.
Alexis, novello Polinice con la maglietta dei Sex Pistols, ha commesso la colpa di ribellarsi allo status quo ed è stato ucciso in una manifestazione ad Atene nel 2006, colpito in pieno petto da un proiettile sparato da un agente di polizia: l’eroismo del cittadino comune, del Manifestante che secondo il New York Times è l’uomo dell’anno.
Alla vicenda continua ad intrecciarsi la linea diremmo speculativa più che narrativa già iniziata in Let e Too Late, che riguarda la riflessione sulla recitazione: anche qui gli attori sono portati a riflettere su di sé e sui loro personaggi – Polinice, Creonte e Antigone. In più, questa dimensione autobiografica si intreccia con la cronaca del percorso che ha portato alla messa in scena: il viaggio di Motus in Grecia per incontrare la Tragedia, nel suo ripetersi sotto allo stesso sole.