ALFABETO MUTO

Una tenera commedia dell'assurdo

Una tenera commedia dell'assurdo

E’ stato molto piacevole assistere a questo spettacolo. Ho trovato simpatica e azzeccata l’idea di trasformare gli attori in burattini e farli recitare dentro un’apposita struttura che li mostrasse a mezzo-busto e li facesse apparire e sparire magicamente.
La trama dello spettacolo non si può riassumere perché, sebbene, com’è ovvio, ci sia una storia da raccontare, il vero tema dell’opera era il concetto del comunicare per non-comunicare. D'altronde la pièce è una divertente commedia dell’assurdo, adattata ad una struttura burattinesca, con sottofondo fiabesco e coreografie magico-simboliche, il tutto concertato insieme da un’abile studio registico inteso a donare spessore ad una storia che già di per se prevedeva un ritmo crescente di concitazione degli eventi.
Lo spettacolo è un elogio alla solitudine atavica (e, contemporaneamente, impossibile) dell’essere umano perché, come recita una delle battute finali della pièce, essere soli << è sempre meglio che stare insieme>>.
Ciò non toglie che, paradossalmente, non si possa credere e, soprattutto, rimanere ancorati, ai valori classici della famiglia e dell’amicizia.
La famiglia di Alfabeto Muto è speciale. Sebbene la mamma sia morta da anni, la sua presenza è ancora viva tra di loro grazie al ricordo. La memoria, però, è collegata non solo al cuore, ma anche al cervello, così che, a volte il ricordo è dolce, come quando canticchiano la filastrocca che la mamma ripeteva per tenerli buoni; altre volte è più doloroso, come quando si tenta di dare una spiegazione alla sua morte (i medici? Oppure la malattia? O forse ancora un suicidio orchestrato come rimedio per non subire più i vizi e le stranezze dei propri familiari?) Nonostante tutto la vita continua: Selene si prende cura del padre (più affetto da senilità precoce che non da malattia) e Massimiliano, in crisi con la petulante e sognatrice fidanzata Federica, si lascia sedurre dalla bella e seducente Martina, migliore amica della sua compagna. In un mondo di solitudine (pur stando in compagnia) e stranezze (che vengono fatte passare per normalità) l’unica cosa che poteva succedere è quella che poi effettivamente accade, cioè che Martina scrivesse una lettera all’amica e che venisse perdonata. L’amicizia, quindi, trionfa su tutto.
In questa divertente, quanto illuminante, pièce, ciò che vince è la stranezza. La logicità e tradizionalità nello svolgimento degli eventi è bandita. Alla fine, Selene, che aveva fatto da mamma un po’ a tutti, sacrificando se stessa (programmaticamente e, anche, per paura di ritrovarsi una famiglia proprio come quella da cui proviene) prende i bagagli e fugge via addolorata e inorridita, tra l’indifferenza dei familiari che neanche tentano di fermarla.
A completare il quadro dello spettacolo bisogna aggiungere che il leitmotif musical-tematico dello spettacolo è costituito dalla celebre ninna ninna per bambini (di Giusi Quarenghi), Buonanotte alle scarpe fatate:
<< Buonanotte alle scarpe fatate
      alle case col tacco e tutte dorate.
      Al bucato senza calzini
      ai piedini dei bimbi piccini.
      A una principessa alta come un budino
      ai biscotti inzuppati nel camino.
      E alla luna che si è raddoppiata
      perché la notte sia più illuminata.>>.
Molto bello il trucco facciale degli attori, simil-clown, con cerone bianco e occhi e guance molto colorate.
In conclusione, dopo aver visto questo spettacolo, si esce con la sensazione di aver condiviso qualcosa di sincero, intimo e catartico, sebbene nascosto in uno spettacolo dal sapore fiabesco.

Visto il 07-05-2011
al Keiros di Roma (RM)