Dentro c’è di tutto: cori da stadio, slogan pubblicitari, motivetti dei cartoon e di altri musical, canzoni famose. “Alice nel paese delle meraviglie” andato in scena con una doppia recita al Teatro Politeama di Catanzaro – organizzato in collaborazione con la Show Net di Ruggero Pegna – è stato una vera rivelazione, in crescendo. Il musical, anche se dalle nostre parti è forse improprio utilizzare questo termine, è partito senza particolare enfasi. Scenicamente ridotto all’osso – qualche elemento solo se necessario -, brani musicali a tratti insapori, molto buio sul palco e qualche incertezza da parte di Alice “piccola”, Angelica Cinquantini, non hanno aiutato affatto.
Eppure lo spettacolo, già alla fine della prima parte, aveva preso piede, forse lentamente, per svettare in un coinvolgimento totale fino alla chiusura del sipario. Che questo sviluppo fosse previsto già dal copione è certo, almeno in parte, perché in questa “Alice” nulla è sembrato affidato al caso. Troppe citazioni nei testi, troppi personaggi da incastrare millimetricamente in movimenti e battute, per permettere un eccesso o una svista, anche di una virgola. Se l’inizio ha lasciato perplessi, a fine spettacolo, la certezza della riuscita è stata evidente, sia per i più piccoli che per i grandi che li accompagnavano.
E visto che ci siamo, per favore non si dica che è semplicemente uno spettacolo per bambini, riducendolo ad un taglio minore con la scusa del “family show”. C’è più di un motivo per smentirlo. Prima di tutto per la messinscena, sempre buona, ma vicina all’eccellenza sotto alcuni aspetti: le scene – di Annalisa Benedetti - cartonate, pompose, coloratissime, ma leggere e versatili come si conviene per uno spettacolo dai cambi così repentini e tali da permettere le seppure semplici coreografie eseguite dai ballerini – spesso dagli abiti piuttosto ingombranti -, hanno trasformato il palcoscenico del Politeama in un vero mondo di favola, con il contributo, non da poco, degli stessi costumi – sempre di Benedetti -, sorprendenti, vivaci al punto giusto. Quindi per i trucchi di scena: i tanti neri e le quinte utilizzati per nascondere le manovre dei fluorescenti contorni dello Stregatto – perfette – o anche per permettere ad Alice di crescere o diminuire di una spanna, sotto gli occhi di tutti.
Poi per gli interpreti: a dir poco meravigliosa Roberta Faccani che, forte di quella voce ampia e duttile che le ha consentito di “segnare” la storia dei Matia Bazar, ha saputo mettersi in gioco in questa nuova veste, tra l’altro riuscitissima, di attrice teatrale nel ruolo della cattivissima – ma quale…? – Regina di cuori (che canta pure i Litfiba, visto che si trova); quel “brutto pelo pallido” – così lo chiama la sovrana – del Bianconiglio Gabriele Foschi, convincente e dolcissimo, come Alice “grande” Laura Galigani. Non si possono poi tralasciare tutti gli altri componenti del cast: il Bruco Marco D’Alberti, Sticcio e Priccio (gli spassosi Diego Casalis e Nicola Ciulla) e le carte di fiori e di cuori. E poi, ovviamente, anche il Cappellaio Matto, qui con un Mago Antonio Casanova in panni insoliti, ma tutto sommato non estranei al suo mestiere: come il personaggio nato dalla penna di Lewis Carroll, ha saputo ben destreggiarsi in incantesimi, semplici ma efficaci, per conquistare Alice, ma anche i più piccoli fra il pubblico, che per il corso di tutto lo spettacolo hanno di che rimanere, davvero, a bocca aperta.
Quel che infine fa di Alice uno spettacolo davvero speciale è l’atteggiamento di chi lo ha fatto, gli autori tutti, dal regista e coreografo Christian Ginepro al compositore Giovanni Maria Lori, ad Edoardo Tartaglia, “papà” dei testi: se da un lato, con la sua favola, Alice è potenzialmente destinato ad un pubblico “piccolo”, in realtà strizza l’occhio ai più grandicelli, se non proprio agli adulti. Dicevamo già delle citazioni continue, vera chicca e motivo per rivedere “Alice” più di una volta, per coglierne più che è possibile, ma ci sono anche giochi di parole e doppi sensi tali da indurre a pensare che i destinatari non siano solo i più piccoli. Forse si azzarda un po’ troppo nel dire che il messaggio, quello vero del racconto di Carroll, è trasferito in tutto e per tutto in questo cosiddetto musical: se la regina suona la batteria con i funghi (lanciando anatemi di harrypotteriana memoria, come l’Avada Kedavra), e i fiori praticano l’Ayurveda parlando di Chakra e quant’altro, allora il gioco e il sogno possono continuare, anche da adulti.