Inizia da Napoli la tournée teatrale di Amerika (in replica dal 16 gennaio al Teatro Nuovo), lo spettacolo che, per la regia di Maurizio Scaparro e l’adattamento di Fausto Malcovati (dal romanzo incompiuto di Franz Kafka), è stato presentato lo scorso giugno al Napoli Teatro Festival Italia – NTFI 2014.
Karl Rossman, giovane ebreo boemo, viene spedito dai genitori in America al fine di cancellare legami e responsabilità nei confronti del figlio nato dalla seduzione subita dalla serva di casa. Inizia così il viaggio che, tra tribolazioni, speranze e cocenti delusioni, lo condurrà alla ricerca dell’inafferrabile sogno americano. Un quadro visionario (basti pensare che Kafka viaggio poco e non visitò mai il nuovo continente) di un universo multiculturale ove ciascun individuo è costantemente teso tra l’ambizione a costruire un futuro migliore e la spregiudicatezza di un giovane mondo, ricco di opportunità ma altrettanto privo di tutele per i più deboli.
La linea di messa in scena, dichiarata apertamente da Scaparro sin dall’inizio, è legata ad una rappresentazione multidisciplinare che porta con se le atmosfere jazz (egregiamente riprodotte dal vivo da un’orchestrina di tre elementi), alcuni inserti con aperti richiami alla Broadway dei musical ed una scenografia scarna e funzionale, composta da alcune porte di diversa forma ed estetica, che modularmente utilizzate danno vita al fondo scena, alle quinte, sino a delineare le pareti degli ambienti e gli scomparti di un treno. Infine i personaggi che, al netto del protagonista, cambiatisi d’abito sono tutti interpretati dagli stessi cinque attori.
Seppur nella lettura che Scaparro dà dell’opera originale (ritenuta tra le più “gioiose” dello scrittore praghese ma pur sempre piena di una cupezza legata all’inafferrabilità del destino e al giogo che rende vittima chi affida le proprie sorti alle altrui decisioni) poco o per niente pesino le dolenti ma solenni note della poetica kafkiana, in pieno è condivisa con essa la narrazione onirica. Una visione fantastica di un viaggio verso un mondo diverso, migliore e pertanto, forse, totalmente irreale. Le tante porte (immediata è l’allegorico rinvio alle opportunità che nascono dall’apertura delle stesse) che si aprono proiettando il protagonista da un luogo ad un altro, i personaggi che seppur diversi hanno tutti gli stessi volti (compresa la cantante Brunelda impersonata dall’interprete sia dello zio Jacob che del capoportiere) e, ciclicamente, lo svesto e rivestono, le musiche ed i canti che afferiscono al più comune immaginario culturale americano, l’incontro con il Teatro dell’ Oklahoma (rimando al circo più famoso di tutti i tempi – il Barnum) che gli offre un lavoro ed un viaggio in treno attraverso l’intero continente. Tutto concorre a raccontare un sogno, burrascoso ma strabordante di speranza; il sogno che, forse, tutti i migranti hanno all’alba del proprio viaggio.
Quanto detto rende l’opera di Scaparro, anche se un po’ semplicistica nella caratterizzazione dei personaggi ed un po’ troppo stringata nei passaggi di scena, oltre che molto piacevole alla visione, ricca di una positività ideologica gratificante per lo spettatore, spesso vittima di un’autorialità, indolente e puramente elucubratoria, che trova l’intuizione “artistica” solo nella visione a tinte fosche del mondo e dei suoi mali.
Grande merito per questo buon risultato è da attribuirsi alla compagnia Gli Ipocriti ed all’ottima prova offerta dal protagonista, Giovanni Anzaldo.