Lirica
AMICA

Roma, teatro Costanzi, “Amica…

Roma, teatro Costanzi, “Amica…
Roma, teatro Costanzi, “Amica” di Pietro Mascagni AMICA: LA NATURA SPETTATRICE DELLE UMANE PASSIONI Pur avendo debuttato in prima nazionale proprio al Costanzi nel 1905, Amica mancava da Roma da ben 90 anni. Segno di un’opera caduta ben presto nel dimenticatoio, offuscata come tanti altri lavori del maestro di Livorno dal suo primo ed irripetuto capolavoro, Cavalleria Rusticana. Eppure quest’opera rivela tratti di originalità inconsueti e inaspettati a chi incasella Mascagni sotto l’etichetta del verismo. Certo, sono sempre le passioni forti il cuore e il motore della vicenda, ma il tutto è contestualizzato in un ambiente montano fortemente caratterizzato. La natura, nella parte iniziale dell’opera, è descritta in maniera oleografica e sono fortissimi i richiami all’Inno del Sole dell’Iris (anche se musicalmente il livello sembra meno convincente): ma abbandonati ben presto i toni pseudo-pastorali (difficile immaginare infatti dei contadini declamare versi così altamente poetici), la natura, soprattutto nel secondo atto, diviene protagonista della partitura mascagniana: una protagonista impassibile, che assiste indifferente allo svolgersi dei drammi e delle tragedie dell’uomo, e la cui forza travolgente nel momento più drammatico dell’opera si intreccia all’amore e alla burrasca dei sentimenti dei protagonisti: il torrente che inghiotte Amica è anche il torrente di una passione indomabile. Pur pregna della “violenza” verista la partitura è ricca di espedienti molto raffinati, che richiamano il sinfonismo tedesco ed ha echi wagneriani a tratti, testimoniando un Mascagni che guarda con attenzione alla scena europea dell’epoca e che si spinge con un sentire più profondo oltre il verismo, verso il naturalismo. Il maestro Antonino Fogliani coglie con intelligenza e sensibilità la ricchezza dell'opera e la restituisce in maniera coinvolgente. Anche se a tratti è sembrata poco omogenea, l’Orchestra del Teatro dell’Opera è stata infatti guidata in maniera attenta e si è distinta, soprattutto nell’intermezzo, nel difficile compito di passare da momenti musicali di forza prorompente ad altri di dolcezza ed intimismo lirico. Il cast vocale è stato, solo in parte, all’altezza della lettura impressa dal maestro. Su tutti ha brillato la vocalità sicura, svettante negli acuti di Amarilli Nizza. Ottima la sua prova drammatica, specie nei duetti con Giorgio e Rinaldo. Superba la sua interpretazione nella tesissima scena finale. Un gradino sotto le prestazioni dei protagonisti maschili. Enrique Ferrer abbina una presenza scenica notevole ad una voce bella e ben emessa, ma pecca in alcuni frangenti della necessaria morbidezza che ci restituisca anche l’aspetto patetico del personaggio. Alberto Mastromarino invece ha un mezzo vocale robusto e di volume, canta con correttezza ma appare a tratti generico, non riuscendo ad imprimere alla sua interpretazione i giusti mutamenti di accenti. Padron Camoine e Maddelena (rispettivamente Marcello Lippi e Lucia Mastromarino) non offrono prove particolarmente incisive, ma vengono posti in secondo piano rispetto al terzetto protagonista che fa la parte da leone. Il coro diretto da Andrea Giorgi si è disimpegnato con correttezza. Un'ultima nota al regista Jean Luis Grinda e allo scenografo Rudolph Sabounghi:nell’unico frangente di originalità, una lunga proiezione di immagini a sfondo montano durante l'intervallo, risultano quasi irritanti. D’accordo, l’intermezzo musicalmente ha una potenza quasi cinematografica, ma mentre la musica riusciva a rievocare tutte le sfumature, dal dramma alla dolcezza, che una storia d’amore può regalare, uno scorrere di riprese dall’alto di 10 minuti di immagini di montagne innevate appare alla fine stancante. E l’impressione che rimane nello spettatore alla fine dell’opera è che l’intero primo atto non sia che un unico preambolo all’opera che vive e si giustifica esclusivamente nella seconda parte. Teatro non completamente gremito, pubblico che riserva le sue ovazioni alla protagonista, ma che applaude nel complesso in maniera distratta e poco partecipe. Visto a Roma, teatro Costanzi, il 7 ottobre 2008 Giuseppe Sapio
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