Prosa
AMLETO A GERUSALEMME

Amleto, tragedia della verità pericolosa

Amleto, tragedia della verità pericolosa

Per Gaetano Donizetti la follia ha il suono del vetro di una glassarmonica. Per Marco Paolini e Gabriele Vacis la “testa persa” e la ricerca di identità si identificano con il rumore prodotto dalla plastica delle bottiglie vuote. La componente sonora riveste un ruolo importante e affascinante in Amleto a Gerusalemme, nei canti malinconici intonati dai protagonisti e nelle secche declinazioni acustiche del PET.

I contenitori vengono allineati su una tavola che viene issata in alto, poi il carico con rombo sommesso si rovescia su una riva. Non fa alcuna differenza se sia quella danese di Elsinore, quella norvegese di Fortebraccio o la costa del Mediterraneo vicina a Tel Aviv: le bottiglie rappresentano i tasselli del racconto che si sta componendo. Uno degli attori, residente a Hebron oltre il muro, non ha mai visto il mare prima che Paolini ce lo accompagnasse ed esclama: “Palestinian Kids Want to See the Sea”, ma è anche vero che “The Sea Wants to See Palestinian Kids”. Sui monti della Giudea l’acqua si trova solo confezionata e a pagamento.

I ragazzi del laboratorio teatrale italo-palestinese ridispongono i vuoti a disegnare lo skyline di Gerusalemme, mentre narrano le proprie vite, nelle quali irrompe il personaggio di Shakespeare. Amleto è la tragedia della “verità pericolosa” e i suoi sono i dubbi di ogni giovane. Il tono pacato è rotto da improvvisi scoppi di violenza, che circonda e contagia. Si urla, si gesticola e si sbattono a terra le bottiglie, che schioccano come colpi di proiettile.

Il celebre monologo è un sussurro, in lingua palestinese, rivolto alle figure che si intravedono attraverso una parete di cellophane. Le braccia si tendono di qua e di là dal muro, le mani si cercano e si toccano; poi il tono della voce si fa rabbioso e contro la barriera traslucida inizia una lotta, dai tonfi sordi, che sembra un impulso connaturato all’uomo. Il testo, ripetuto in italiano, viene messo a fuoco sul fondale, dove i caratteri delle parole appaiono scomposti e trovano un ordine momentaneo, l’unico possibile.

Gli idiomi si sovrappongono e un irriverente umorismo costella la linea narrativa formata da due rette parallele che, grazie alla magia che il mezzo teatrale crea quando è sapientemente utilizzato, si intersecano. La dicotomia, di shakespeariana contemporaneità, è tra essere e non essere, tra accettare la realtà o lottare contro il destino. Gli inscindibili Paolini e Vacis fanno coabitare entrambe le possibilità. La loro è una storia meravigliosa che coinvolge in crescendo e che, come nel finale di Amleto, per continuare a vivere ha solo bisogno di essere raccontata.

Visto il 26-04-2016
al Nuovo di Verona (VR)