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AMLETO

Amleto

Amleto
Un Amleto moderno e snello è questo, in scena dal 26 gennaio fino al 7 febbraio 2010 al teatro Quirino di Roma, interpretato magistralmente da Alessandro Preziosi, basato sulla traduzione di Eugenio Montale, diretto dal regista Armando Pugliese. Un Amleto in cui il “gup culturale” che separa il giovane principe dalla corte danese tacciata da crapule e bagordi, isola sempre di più il protagonista, già alle prese con i suoi dubbi esistenziali e con la sua non accettazione della morte paterna, fino a renderlo un estraneo persino alla proprio madre e ai propri amici Rosencrantz e Guildestern. Classico shakespeariano, con il quale ogni artista sogna di confrontarsi almeno una volta nella carriera, Amleto si veste di contemporaneità in questa versione in cui possiamo ammirare un Alessandro Preziosi nella sua prova d’attore più matura. La sua interpretazione è acuta, veloce, incalzante, drammatica e a tratti ironica, energica ma sempre equilibrata. L’attore è l’ indiscutibile padrone di una scena tutta sua, caratterizzata da un gusto essenziale e moderno che si mescola curiosamente con il gusto tardo rinascimentale dei costumi pomposi, tipicamente di epoca elisabettiana, indossati dagli altri personaggi. In questa scenografia moderna e tradizionale allo stesso tempo, la figura di Amleto emerge, vestita solo di bianco, come simbolo della purezza culturale e dell’incorruttibilità morale, ricordando, però, allo stesso tempo, il vestiario degli ospedali psichiatrici. Non a caso, infatti, lo spettacolo inizia presentandoci il protagonista vestito di bianco in un letto bianco, come un malato, che si sveglia nel pieno di una notte per l’ incubo della rivelazione di suo padre, che in questa regia di Pugliese, non è un fantasma, come nella maggior parte delle rappresentazioni di questo dramma, ma sembra essere più che altro una rivelazione interiore, una voce della coscienza che attanaglia il giovane principe danese e che lo spinge a far giustizia e a mettere a nudo la verità . Malgrado lo spettacolo si regga evidentemente sulla capacità attoriale di Preziosi, la regia di Pugliese dedica attenzione ai personaggi secondari, o cosiddetti minori, caratterizzandoli in un certo qual modo. Simpaticamente servile, anche se vile, è il personaggio di Polonio, interpretato molto bene da Ugo Maria Morosi. Decisi e spavaldi i personaggi di Laerte e re Claudio, interpretati da Giovanni Carta e Francesco Biscione. Buone anche le caratterizzazioni di Rosencrantz e Guildestern, ad opera rispettivamente di Maurizio Tomaciello e Marco Zingaro. Più ombrata invece l’interpretazione di Orazio di Marius Bizau, che per scelta della regia, spesso rimane in scena muto, come l’amico sempre presente che osserva nel silenzio. Meno convincenti i personaggi femminili, le cui interpretazioni risultano in generale un po’ più sbiadite. Molto allegra e poco addolorata è la regina Geltrude di Carla Cassola, sul filo del pentimento, ma che alla fine non sembra poi tanto sconvolta dal comportamento folle del figlio. Ofelia tutto è in questo spettacolo, tranne che una giovane pura, innocente, e casta; nell’interpretazione di Silvia Sirano troviamo, infatti, accenni a un carattere lascivo e superficiale. Nel complesso sembra che l’attenzione della regia si posi soprattutto sulla posizione culturale e politica di Amleto all’interno della corte: il principe è superiore per cultura ai suoi compagni di studi che lo attorniano e lo consigliano; il suo dubbio deriva da questa superiorità, dalla volontà di far corrispondere alla certezza della giustizia la vendetta, dalla consapevolezza che non sempre l’intenzione può portare ad un’azione limpida ed efficace. Mettere in scena la tragedia del principe di Danimarca è un tentativo per meglio analizzare il tempo che stiamo vivendo, riflettendo sulle dinamiche che lo muovono.La corte, nella quale un posto di spicco è occupato dalla famiglia di Polonio, è , quindi, l’altro vertice della dialettica che conferisce senso e scopo all’agire contro di Amleto. Pugliese e i suoi attori leggono Shakespeare trasformando il dramma personale del principe danese in universale riflessione sulle difficoltà che ogni giovane incontra nel perseguire le proprie aspirazioni, senza lasciarsi sopraffare dall’ambizione, dal confronto coi padri, dalla corruttibilità dell’esistenza che cambia e si evolve continuamente.
Visto il 26-01-2010