Sul letto metallico come quelli degli ospedali alla metà del ‘900, il principe di Danimarca, di bianco vestito, incontra, come in un incubo, il fantasma del padre, morto per mano del fratello Claudio, ora al potere. Questo l’incipit voluto da Armando Pugliese per il suo AMLETO, prodotto ed interpretato da Alessandro Preziosi, attore di formazione teatrale, pur se giunto alla notorietà grazie alle finction televisive. Pugliese per questo spettacolo accentua la ribellione intellettuale del protagonista, ne esalta le capacità affabulatorie, condendole di sarcasmo ed ironia, servito in questo da un diligente Preziosi. Amleto non appare così addolorato per la morte del padre, non ama edipicamente la madre, e nemmeno si compiace dell’ascendente che ha su Ofelia verso il cui destino non nutrirà poi nemmeno grandi sensi di colpa. No, Amleto, egocentrico ed arrogante come non mai, si concentra su sé stesso, si agita e si dispera, più o meno sinceramente, unicamente per il dissidio che il suo io sente con un mondo che, con presunzione, ritiene più piccolo, tanto più piccolo di lui.
Nessuna ragione di stato, quindi, o affetto filiale, più o meno morboso, ma solo un super-ego così impertinente da farlo ridere della morte di Polonio e non fargli prendere sul serio il duello al quale Laerte lo condurrà e nel quale troverà la morte. Scompare, per Pugliese, il personaggio di Fortebraccio, incombente come una mannaia sul trono di Elsinore, scompare l’incredula sorpresa con cui, sulle torri del castello, i soldati avvertono per primi il fantasma del Re, il Principe, in questo allestimento è ancora più centrale alle vicende di quanto già il suo Autore non avesse concepito, ed è sempre lui, e non Orazio, a chiudere lo spettacolo, in un impetuoso delirio che poco ha dell’effettiva agonia. Detto questo, lo spettacolo non è privo di fascino, Preziosi si impegna tantissimo ed in molti casi convince, anche se pecca di eccesso di gigionismo, le scene grigie diventano ottima tela su cui si dipingono suggestivi disegni di luce e le musiche dei Massive Attack e di Zero P:M offrono un ottimo accompagnamento alle logorroiche esibizioni del protagonista, affiancato da un cast diligente ma poco incisivo, a cui fanno eccezione le buone prove di Ugo Maria Morosi (Polonio) e Francesco Biscione (un Claudio assolutamente ineccepibile), buona anche la prova di Carla Cassola, che però, per un’evidente scelta registica, non possiede le caratteristiche materne e sensuali che siamo abituati a riconoscere nel personaggio di Gertrude. Convincono molto meno Silvia Siravo, Mino Manni e Giovanni Carta, che interpretano rispettivamente Ofelia, Orazio e Laerte in maniera rigorosa ma piuttosto incolore. Insomma uno spettacolo elegante, dalle grandi potenzialità, ma che riesce con difficoltà ad appassionare il pubblico.
Napoli - TEATRO DIANA, 14 Gennaio 2009
Visto il
al
Donizetti
di Bergamo
(BG)