Un Amleto “dressed in white” entra in scena risvegliandosi dall’incubo sul fantasma del padre, scelta registica che va a tagliare tutta la scena degli spalti del castello di Elsinore e del “non s’è mosso un topo”.
Inizia così l’Amleto di Armando Pugliese e così continua, in un susseguirsi di riduzioni e intuizioni a tratti troppo manieristiche. Con Orazio sempre presente sul palco come narratore muto, questo Amleto apparentemente ospedalizzato e malato riporta al tema chiave dell’eroe tragico moderno, qui rivisto e corretto però da un approccio piuttosto disinvolto.
La scelta della traduzione di Eugenio Montale è suggestiva, seppur di fatto desueta, il che non aiuta a entrare nel tessuto del testo e della storia. Ma Amleto è Amleto e se da un lato tutto gli si perdona, dall’altro si erge a sua difesa il “più fatti, meno arte” che Shakespeare, per bocca di Gertrude, propugna con vigore.
Il "dolce principe" interpretato da Preziosi (fu splendido Laerte nella versione di Antonio Calenda) è al contempo un Amleto che vive e lotta (con noi) e sopravvive a oltraggi, sassi e dardi; è un Amleto bohémien, che scartabella, cerca, legge. Istintuale, mobilissimo, duellante: Preziosi sfida il testo e, mai domo, lo doma.
Più che trascurabili gli altri interpreti. The rest is, as usual, silence.
Milano, Teatro Nuovo
24 marzo 2009
Visto il
al
Donizetti
di Bergamo
(BG)