Andrea Chénier, libertà e poesia

Andrea Chénier, libertà e poesia

Torna sul palcoscenico scaligero, dopo ben trentadue anni di assenza, Andrea Chénier di Umberto Giordano e lo fa alla grande, sapientemente diretto, come allora, dalla bacchetta di Riccardo Chailly che in questo repertorio sa dare il meglio di sé e corredato da un cast di tutto rispetto, degno della prima opera della stagione.

Fedeltà e dettagli

Tradizionale, ma non per questo banale, la regia di Mario Martone, il quale decide di rispettare alla lettera il libretto, incentrando la sua attenzione sui particolari e i dettagli, la cui cura diventa la cifra distintiva dell’allestimento. Tutto viene impostato, soprattutto nel primo atto, sul contrasto fra una nobiltà ormai vuota, conservatrice, priva di principi e lungimiranza che trascina la propria esistenza fra balli, luccichii e merletti inamidati, e il terzo Stato, da essa oppresso, che si infiamma per gli ideali rivoluzionari. Molto azzeccata l’idea di un popolo affamato che scimmiotta nei gesti i nobili parassiti osservandoli durante una festa dietro un’enorme specchiera dorata.

Il fluire della vicenda è lineare, senza stacchi e senza soluzione di continuità: le belle scenografie pensate da Margherita Palli, grazie all’uso di una struttura rotante e di alcune architetture versatili nel loro utilizzo, mutano rapidamente e ricreano le varie ambientazioni richieste dal plot: il Caffè Hottot, l’altare dedicato a Marat, il ponte Perronet, il tribunale rivoluzionario con gli spalti pieni di gente, le celle del carcere al di sopra delle quali si staglia, illuminata dal sole del mattino, l’inevitabile ghigliottina. Ad ottimo corredo del tutto gli splendidi costumi di Ursula Patzak e le sapienti luci di Pasquale Mari.

Il dramma al suo vertice

Spettacolare per amalgama e coesione la prova dell’Orchestra del Teatro alla Scala, diretta da un eccezionale Riccardo Chailly, che ha saputo evidenziare e sviscerare da ogni nota quella tensione drammatica che pervade tutta la partitura, in una climax di tensione e attraverso una ricerca di limpidezza di suono davvero fuori dal comune.
Vocalità potente, sebbene non particolarmente accattivante a causa di un suo naturale indulgere verso il vibrato, per Yusif Eyvazov che ben ha incarnato la figura del poeta protagonista: l’acuto è facile e perfettamente a fuoco, la pronuncia ineccepibile; la linea di canto curatissima e la tecnica inappuntabile evidenziano un notevole lavoro di cesello, eseguito sul personaggio, che ha dato i suoi frutti e che fa facilmente scordare qualche leggera rigidità scenica.

Star della serata, Anna Netrebko veste i panni di una Maddalena determinata e risoluta: la voce è scura e ricchissima di armonici, di grande corpo, potentissima in acuto, ma dotata al contempo di grande uniformità in tutti i registri. Una perfetta gestione dei fiati, unita ad una grande capacità interpretativa, fa sì che la sua risulti davvero una interpretazione a tutto tondo. Molto bene anche Luca Salsi che indossa le vesti dell’ambivalente Gérard di cui ben sottolinea il lato sanguigno con voce piena e ferma, particolarmente ricca di armonici.
Eccellenti anche tutti i comprimari, dallo straordinario Incredibile di Carlo Bosi, alla precisissima Bersi di Annalisa Stroppa, all’ottimo Roucher di Gabriele Sagona, per arrivare alla puntuale Contessa di Mariana Pentcheva e alla commovente Madelon di Judit Kutasi.
Particolarmente coeso e preciso il Coro ben preparato da Bruno Casoni.