Genova, “Andrea Chénier” di Umberto Giordano
FINALE DI STAGIONE IN ANTICIPO
Ultima prima di stagione al Carlo Felice, ente lirico commissariato a rischio chiusura per questioni di bilancio, le cui sorti, indipendentemente dai meriti artistici di un teatro risorto dal nulla e cresciuto tanto in pochi anni, si decideranno a livello politico nei prossimi mesi. Una serata particolare per la tristezza mista a imbarazzo che aleggiava fra il pubblico della prima e i dipendenti in abiti da scena all’entrata del teatro a fare volantinaggio anziché scioperare.
In scena uno degli allestimenti più riusciti della fondazione genovese: l’ Andrea Chénier del 2001 di Lamberto Puggelli, spettacolo visivamente accurato e fedele al testo, tradizionale e intelligente, ancora fresco e dinamico, lontano dalla “routine” polverosa di certe riprese. Andrea Chénier ha conosciuto grande popolarità grazie a interpreti straordinari che ne hanno esaltato l’edonismo vocale con risultati irripetibili, ma che inevitabilmente hanno focalizzato l’opera sulle pagine solistiche di forte appeal a scapito di una visione complessiva; il presente allestimento ha invece il pregio di dare giusto rilievo anche al resto, mettendo in luce il dramma storico e i dettagli di “verità d’epoca”, collegando e intrecciando con efficacia i due piani narrativi, collettivo e individuale, rappresentando una rivoluzione depurata dalla “maniera” che determina con efficacia i destini dei protagonisti.
Con trasformazioni sceniche a vista Paolo Bregni ricrea con naturalezza e precisione (complici le belle luci di Luciano Novelli e gli splendidi costumi di Luisa Spinatelli) i diversi ambienti in cui si dipana la vicenda, scandendo le diverse fasi della Rivoluzione francese. Particolarmente riuscita la transizione dall’ancien regime alla rivoluzione, quando alla fine del primo atto la scena si svuota dalle leziose volute di ferro frondose del giardino d’inverno ed i nobili incipriati dalle smisurate parrucche bianche s’ inabissano a passi di gavotta, inghiottiti dal palcoscenico sotto una luce sempre più livida e fredda, mentre avanza un mondo nuovo di maestranze che spostano a vista imponenti architetture lignee che evocano la ghigliottina e che caratterizzeranno gli atti successivi. La scena è divisa in due piani visivi differentemente inquadrati da pannelli mobili che aprono e chiudono prospettive, spostando l’attenzione sui movimenti delle masse che sfilano veloci come la Storia sulla città abbozzata sullo sfondo, piuttosto che sui drammi ancora “romantici” dei protagonisti: amore, amor di patria, amicizia, sacrificio.
Per quanto il panorama attuale non possa reggere il confronto con le grandi voci di riferimento del passato, il cast è apparso un po’ sotto tono e non del tutto trascinante. Piero Giuliacci (previsto nel secondo cast) ha sostituito l’indisposto Marcello Giordani, affrontando con voce salda il ruolo del titolo; un’interpretazione, la sua, che ricalca certi stereotipi della tradizione: voce ampia e sicura, dal grande volume, adatta al canto spiegato ma povera di colori e sfumature per suggerire l’innamorato o il poeta. He Hui risolve la difficile parte di Maddalena di Coigny con giusto vigore drammatico e voce consistente, dagli acuti sicuri e svettanti. La giovane cantante cinese non ha però ancora raggiunto piena maturità espressiva, il fraseggio è poco variato e con limiti di dizione. Fra tutti si distingue per carisma scenico e doti interpretative Renato Bruson, il solo a creare un autentico personaggio e capace di sottolineare l’evoluzione, il dissidio interiore e le contraddizioni di Carlo Gérard; purtroppo gli anni di carriera si sentono, la voce non è salda come un tempo e vibra nell’acuto, ma le doti di un fraseggiatore sono da apprezzare, come l’espressività del declamato, il gusto per la parola e il suo “Nemico della patria”, incisivo e dolente, scatena ancora applausi ed emozioni. Di livello discontinuo le numerose parti di fianco, Francesca Franci si è alternata con buona disinvoltura scenica nel doppio ruolo di Bersi e Madelon, ma la voce ha tradito qualche forzatura. Nicoletta Curiel è una debole Contessa di Coigny, il Roucher di Carlo Striuli passa inosservato, mentre si distingue per voce sonora e profonda Armando Gabba nella parte di Mathieu. Mario Bolognesi è un’ “Incredibile“ apprezzabile; fra gli altri Alessandro Battiato nel ruolo di Fléville e Angelo Casertano (abate).
Daniel Oren dirige con slancio la densa partitura, di cui sottolinea il turgore e la componente da “feuilleton” con accelerazioni, pianissimi, fortissimi espressivi che commentano con efficacia quanto avviene sulla scena. Una lettura un po’ “esteriore”, tesa ad accentuare i momenti veristi, a cui l’orchestra risponde in modo discontinuo, alternando pagine riuscite dai buoni coloriti orchestrali a momenti dal fragore incontrollato.
Un pubblico consapevole delle tensioni che attanagliano il teatro ha manifestato deciso apprezzamento e insolito calore, rimanendo in sala per tutta la durata degli applausi al fine di testimoniare supporto e affetto.
Visto a Genova, teatro Carlo Felice, il 24 Marzo 2009
Ilaria Bellini
Visto il
al
Carlo Felice
di Genova
(GE)