Macerata, Arena Sferisterio, "Andrea Chénier" di Umberto Giordano
LA LIBERTA’ E L’AMORE
Nell’Andrea Chénier la musica segue in modo stringente l’azione scenica, non lascia spazio a vuoti o cadute di tensione, evidenzia un susseguirsi di ampie perorazioni orchestrali, appassionando in ogni sua parte, seppure il linguaggio musicale non è assolutamente originale, né innovativo: l’unico elemento particolare è forse quello di essere un’opera di contenuto romantico ma di forma verista.
L’allestimento essenziale ed asciutto (a dispetto della pioggia che ha fatto ritardare di un’ora l’inizio della prima, davvero appropriato il cantato “codeste nubi spariranno” nel corso del primo quadro, quando le nuvole bianche vorticosamente si rincorrevano nel cielo fosco e umidissimo sopra lo Sferisterio) di Pier Luigi Pizzi depura la scena di orpelli di maniera, privilegia linee architettonicamente pulite, un doppio piano su cui si muovono le folle (in alto) e i cantanti (in basso), uno spazio che si allarga sempre più fino a un vuoto quasi assoluto. Seppure è il primo approccio con il titolo e con il repertorio dell’epoca, Pizzi, maestro assoluto, segna alcuni punti fermi. Anzitutto la folla, sopra le balconate. La folla è una forza non secondaria nell’economia dell’opera, non relegabile a puro elemento che crea la cornice storica, anzi è parte attiva e vitale, a cui il compositore ha riservato le pagine più fresche, ravvivate dall’impiego di cembali e campanelli e con l’inserimento di canti e danze popolari (la Carmagnola, la Marsigliese). Poi l’aria della “mamma morta”. Il racconto di Maddalena, reso famoso anche al pubblico non operistico per essere stato inserito nell’interpretazione di Maria Callas nel film Filadelfia come paradigma dell’opera lirica che è capace di trasmettere emozioni intensissime, è sottolineato da un sapiente gioco di luci, che enucleano il personaggio dal contesto e lo sottolineano, per toccare nell’intimo lo spettatore (le luci di Sergio Rossi sono per la maggior parte livide e lunari e ben si sposano ad una messa in scena che si affida a pochi eleganti elementi evocativi non necessariamente ancorati all’epoca storica). Ancora l’ultima immagine, fortemente simbolica: i protagonisti che si fermano, di spalle al pubblico, in luogo del precedente monumento, divenendo essi stessi un monumento, alla vita all’amore alla libertà. Infine i consueti tocchi alla Pizzi: la sua cura massima nei dettagli elegantissimi dei costumi da toni impercettibilmente cangianti tra il bianco, il celeste ed il lilla (la prediletta cifra bianca-nera è riservata alle livree ed alle divise) e nei meravigliosi cappelli di rafia; la sua essenzialità quasi spirituale nella scena; il suo seguire i cantanti passo passo, perfezionando ogni gesto, misurando ogni espressione, calcolando ogni dettaglio, non lasciando nulla al caso ed all’improvvisato. Raffinate ed appropriate le movenze delle comparse affidate a Georghe Iancu: le prostitute che accompagnano Bersi nel secondo quadro si muovono distratte da ciò che le circonda, indifferenti come moderne indossatrici sulla passerella di una vita dura e grama, languide e flessuose come gatti intriganti ed interessati più alla propria sopravvivenza che ad altro.
La ottima direzione orchestrale di Pier Giorgio Moranti esalta appieno una partitura priva di asperità e segue i cantanti in ogni rigo; l’Orchestra Filarmonica Marchigiana appare rinnovata e rivitalizzata dalla sua magica bacchetta, lasciandosi guidare docilmente e con preparazione ad un risultato notevolissimo ed inaspettato.
Nel cast si è distinto Marco Di Felice, interprete di Gérard. Il personaggio è un baritono nel suo essere “sociale”, ridondante in senso naturalista (“la voce di chi soffre a sé mi chiama”), ma anche quasi un tenore nelle sue profonde malinconie di diseredato, di non visto, di non amato (in Maddalena non cerca il sesso ma la poesia, in senso crepuscolare). Marco Di Felice è perfetto nel ruolo, ottima interpretazione, fisico del ruolo, movenze sceniche sicure e appropriate e soprattutto… voce: bellissimo timbro, caldo e pieno di passione, capace di estendersi da più a meno scuro con padronanza, disinvoltura e facilità, perfetta dizione, registri saldi e compatti, privi di opacità, emissione controllata, una performance nel difficile terzo atto da manuale. Gérard è il personaggio più interessante dell’opera, perché prende gradualmente coscienza dei propri errori, trasformandosi radicalmente (a paragone dello scarso spessore psicologico di Chénier, che non ha sviluppi interiori né mai vacilla, un eroe in senso romantico) e il baritono marchigiano, nonostante la sua giovane età, ne delinea tutti i risvolti.
Ottima prova anche per Raffaella Angeletti, interprete di Maddalena, una voce corposa che non ha mai vacillato alla tremenda umidità della serata, un timbro leggermente scurito che ha conferito ancora più spessore al personaggio. Alla giovane soprano è ben riuscito di plasmare una figura fragile, travolta dagli avvenimenti, con quel coinvolgimento passionale che rende logica la decisione finale. Azzeccato il difficile avvio di “la mamma morta”: l’angoscia impressa al colore divenuto di cenere è ideale compagna del violoncello che la appoggia.
Invece inferiore alle aspettative Marcello Giordani nel ruolo del titolo: si badi bene, la sua è una voce bellissima per colore, timbro ed emissione, ma qui è apparsa velata, poco estesa, come se il cantante fosse sofferente. Subito dalla prima aria è evidente lo stato di affaticamento, non osa acuti su “tesoro” e “scrigno”, per poi arrivarci nel “non conoscete amor” e l’idea che stia risparmiando la voce per gli altri quadri vien meno andando avanti con la rappresentazione; non gli riesce il vibrante involo di “Sì fui soldato” e durante l’aria ha anche un breve momento di cedimento, in “ho sentito nel mio cammin vicino” la voce si incrina (anche se è sostenuta dall’ottimo violino solista di Michelangelo Mazza, spalla dell’Orchestra del Regio di Parma). Nonostante ciò la sua rimane una dignitosa prova in quello che è un ruolo ormai consolidato del suo repertorio, seppure qui senza la dolcezza che ritrae la sensibile visionarietà del poeta e di cui Giordani sarebbe ampiamente capace. Discreti e variabili i ruoli di contorno, affidati tra gli altri ad Alfonso Antoniozzi (Roucher e il romanziero), Milena Josipovic (Bersi), Luca Casalin (un Incredibile), Ida Maria Turri (la contessa di Coigny e Madelon) e Lorenzo Muzzi.
Visto a Macerata, Arena Sferisterio, il 23 luglio 2005.
FRANCESCO RAPACCIONI