‹‹ È il timore di quello che segue l’azione che la rende più difficile da compiersi. Ma quasi sempre si viene a patti con le sue conseguenze ›› – Tony Kushner –
1985. New York. America. Siamo al culmine dell’epidemia di aids, nell’America di Reagan, un’America folle, travolta da un caos etico e morale, un epoca confusa e infelice, orfana di ideologie e ideali, che si trova a doversi confrontare con questo male infame, chiaro segno di un’Apocalisse imminente.
Angels in America nasce nel 1987 come lavoro su commissione, riflessione di Tony Kushner sulla sua identità gay: essere omosessuali negli anni ’80, in un periodo di regresso è un fatto politico e l’aids è sicuramente un tema politico, poiché è stato e continua ad essere un fantasma per la comunità gay, il gruppo sociale più coinvolto.
Ma Angels non è un testo sull’aids, l’aids è un pretesto, o meglio un simbolo concreto: un cancro, una peste, catastrofico e terribile in quanto inevitabile. L’aids è profondamente e intimamente umano, poiché è il risultato di ciò che la gente fa o evita di fare, è un dato di fatto, una questione di vita e di morte: è il cancro della società, metafora dello sfaldamento sociale, religioso e politico di un’intera epoca.
Angels è una storia di tradimenti, in primo luogo nei confronti di se stessi e poi nei confronti del prossimo, di chi ci sta vicino, di chi amiamo, ma è anche una storia di “grazia” e speranza: è un dramma sul vivere con l’Aids e morirne, sullo sforzo nel cercare disperatamente di fissare e di liberarsi dalla propria identità sessuale, razziale e religiosa.
Racconta la vita di un gruppo di uomini e donne legati indissolubilmente e inconsapevolmente l’uno all’altro da un filo invisibile, è una storia di destini incrociati, un girotondo di volti, rapporti, sentimenti, passioni.
Angels in America è una sofisticata e acuta trama di citazioni, rimandi, allusioni, riferimenti più o meno evidenti che toccano Sofocle, la soap-opera televisiva, ma anche Brecht, il Vecchio Testamento fino a arrivare a Shakespeare. Il testo apre il quotidiano all’epico e al visionario: è uno specchio, riflette vicende che ci riguardano da vicino, è una sorta di “cartina di tornasole”.
Lo spettacolo dell’Elfo è una combinazione di istantanee, immagini, spot, brevi episodi ambientati in luoghi fisici e mentali diversi, lontani: la scena è mutevole, cangiante, metamorfica, mediante pochi ma essenziali elementi si trasforma in altro da sé.
Carlo Sala sceglie un assetto scenografico volutamente scarno, povero, minimale: lo spazio vuoto prende vita, la scena si dilata oltre se stessa con proiezioni virtuali, più piani di realtà convivono e si alternano dialetticamente, la dimensione onirica cede il posto a un realismo tragico e crudo. Il lavoro di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni è intenso, vibrante, emozionante ed emozionato, rende giustizia al testo di Kushner, restituendone la leggerezza e l’ironia, anche nei momenti più tragici e solenni.
La messa in scena di questa prima parte dell’opera è incisiva e impeccabile, riesce ad essere rabbiosa, riflessiva, appassionata, ma anche indulgente, è costruita con semplicità e profondità, merito della regia illuminata e consapevole di Bruni e De Capitani, e dello straordinario gruppo di attori. In scena un cast di grandi interpreti in stato di grazia dà vita a personaggi di varia umanità, otto attori animano molti caratteri, spesso in modi volutamente paradossali: giocando su ruoli maschili e femminili. I dialoghi sono avvincenti, serrati, caustici e divertenti.
Menzione speciale merita Elio De Capitani che dà vita a un Roy Cohn strepitoso, travolgente, cinico e sarcastico, e Edoardo Ribatto che interpreta magistralmente la complessità del personaggio di Prior, regalandoci momenti di drammatica bellezza, estrema poesia e di pungente comicità. Lo spettacolo cattura dal primo istante, fa riflettere, commuove e inquieta: è un lavoro sconvolgente, terribile e magnifico al tempo stesso, un ritratto vulnerabile e vibrante, ma onesto, mai patetico o auto-compiaciuto di un’epoca: tutto ci viene mostrato senza falsi pudori, senza facili realismi.
La salvezza dell’uomo avviene attraverso il coraggio dell’accettazione di sé, dei propri limiti, della propria malattia, attraverso l’accettazione del dolore e del male. Si deve sapere chi si è e cosa si è, si deve trovare il coraggio di accettarsi, prima di poter costruire se stessi e scegliere la propria vita. Angels è un sogno, una provocazione, un viaggio surreale nelle aride terre della “colpa”, della pena e della paura, ma anche della speranza e del riscatto: Kushner ha messo in mano all’uomo uno specchio e gli ha chiesto di dirgli cosa vede.