Angels in America: A Gay Fantasia on National Them

Angels in America: A Gay Fantasia on National Them

Angels in America parte in sordina, con un funerale, ma già dopo pochi minuti si viene irrimediabilmente trascinati nel viaggio onirico di Tony Kushner, autore del dramma vincitore del Premio Pulitzer nel 1993, andato in scena il 5-6 e 7 aprile al Teatro Toniolo di Mestre per la regia di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni.

Un racconto epico e imponente, fortemente connotato sessualmente e politicamente, un intreccio perfettamente costruito di situazioni, realtà che sconvolgono la vita, le difficoltà nell'affrontarla e i tentativi di fuggirla; uno spettacolo che nonostante le circa sei ore di durata, divise in due parti - Si avvicina il millennio e Perestroika - mantiene ritmo e vitalità.
Opera destinata a diventare un classico della drammaturgia Novecentesca, Angels in America è una composizione barocca e postmoderna in cui si sviluppano una serie di problematiche intorno ad un tema centrale, l'omosessualità e l'AIDS. Kushner si fa, così, cantore di un periodo storico, gli anni Ottanta, carico di ansie, paure, inquietudini e cambiamenti con un linguaggio crudo ma ironico e sarcastico.

Così si snodano, sfiorandosi e toccandosi, le vicende dei personaggi. La frustrazione di Joe (Cristian Maria Giammarini) che non riesce a vivere la sua sessualità e intrappola la moglie, Harper (Elena Russo Arman), nel turbine di deliranti allucinazioni da psicofarmaci che verrà soccorsa Hannah (Ida Marinelli), madre di Joe. La vigliaccheria di Louis e la disperazione di Prior (gli straordinari Umberto Petranca ed Edoardo Ribatto), che abbandonato, malato e solo, è visto dall'angelo come un profeta e trova conforto solo nell'amico-ex amante Belize (Fabrizio Mattieni). L'ostinazione di Roy Cohn (lo stesso De Capitani), avvocato realmente esistito, responsabile della condanna a morte dei Rosenberg e per questo perseguitato dal fantasma di Ethel (Cristina Crippa) che si fa beffe dei suoi goffi tentativi di nascondere la sua omosessualità e mascherare la malattia.

Elio De Capitani e Ferdinando Bruni restituiscono alla scena un testo ricco ed eccessivo, commovente e divertente insieme, mantenendone la forza espressiva senza che le talvolta audaci scelte registiche, come nudità e orgasmi, permettessero il prevaricare delle immagini sulla parola. Un aspetto quasi cinematografico si unisce alla teatralità pura. Scene divise solo da giochi di buio e luce vengono lasciate in sospeso creando una narrazione attraverso un montaggio alternato e, intanto, i cambi di scena a vista richiamano quella teatralità esibita che si sviluppa nel Novecento da Brecht in poi con tanto di "cartelli", le didascalie proiettate sulla parete di fondo del palco che introducono e commentano. Pochi e iconici gli oggetti sulla scena di Carlo Sala che a volte scompaiono esaltandole e a volte completano le proiezioni video di Francesco Frongia.

La compagnia del Teatro dell'Elfo conquista e coinvolge intensamente per tutta la durata dello spettacolo, in entrambe le serate, con interpretazioni impeccabili, e tra umorismo e amarezza si riflette, ci si guarda dentro e si scopre intorno a noi, nella società del nuovo millennio, ancora tanta intolleranza e diffidenza ma, proprio per questo, magari anche la voglia di cambiare le cose.