“Questa è la legge, non è la giustizia”. Joe, uno dei tragici protagonisti della seconda parte di “Angels in America”, sintetizza così la situazione del suo tempo.
Anche in questa seconda parte del dramma di Tony Kushner, “Perestroika”, i protagonisti lottano, o più semplicemente vivono, in un mondo complesso, fatto di contraddizioni, psicofarmaci, apparizioni, ingiustizie e piaceri fulminei. Rispetto a “Si avvicina il millennio” però, questa seconda tappa della storia porta un messaggio positivo, di speranza.
I personaggi, tutti, appaiono liberati, più diretti, più consapevoli delle proprie azioni, decisioni e conseguenze. Non più solo rabbia o impotenza. Ma anche fiducia e sprazzi di possibile condivisione. Roy M. Cohn (il sempre efficace Elio De Capitani) appare morente mangiato dall’AIDS ma quasi umano, e – in fondo, una volta morto – anche salvatore di Prior. Joe Pitt (Cristian Giammarini), avvocato mormone che nella prima parte si era faticosamente reso conto della sua omosessualità, appare qui, nella sua relazione con Louis Ironson - ex amante di Prior - almeno parzialmente libero dalle imposizione che il suo status e la sua religione sembravano imporgli e ha il coraggio di ammettere a se stesso e agli altri i suoi sentimenti, per quanto questi, alla fine, lo portino a desiderare di tornare sui suoi passi. Prior Walter (Edoardo Ribatto) diventa in questa seconda metà il messia, il profeta: viene incaricato dall’angelo di predicare l’immobilità, la stasi per l’umanità. Abbandonato dal compagno Louis (Umbero Petrarca) - ora amante di Joe - perché malato di AIDS, Prior ha con l’angelo un rapporto fatto di immaginifica sensualità e violenta imposizione e trova alla fine il coraggio di ribellarsi, rifiutando la parola annunciata, in grado di affermare la sua fiducia nell’inevitabile movimento dell’umanità, nel suo dinamismo, nel suo progresso, nella sua necessità di non stare ferma. Belize (il divertente Fabrizio Metteini), infermiere gay di Louis e di Roy, incarna la capacità dell’uomo di vedere il lato positivo, pur nella consapevolezza di tutto ciò che di negativo c’è.
In un’America “terminale e sordida”, in un mondo abbandonato da Dio, a cui non basta la fede nella grandezza del cielo e nella possibilità di salvezza divina, l’uomo assume una consapevolezza maggiore della necessità di agire da sé. Tra domande esistenziali sulle modalità di cambiamento e tragiche affermazioni sull’impossibilità di sentimenti veri, i personaggi del dramma (tra cui Harper– la brava Elena Russo Arman – visionaria psicolabile moglie di Joe; la madre di Joe – Ida Martinelli - che da un’apparenza di rigida mormone omofobica si rivela essere una delle persone più aperte e comprensive; Ethel Rosenberg – Cristina Crippa – fantasma/coscienza di Roy) mostrano i valori più difficili, tra cui il perdono.
Ma non il perdono per Dio, che ci ha lasciati qui senza rimedio, senza chiavi, abbandonati a noi stessi.
“Perestroika”, la ricostruzione, inizia così: “Noi non possiamo fermarci, noi desideriamo, non possiamo aspettare” urla Prior. Non si può restare immobili. Ma se Dio - che non ritornerà - dovesse tornare, fategli causa, fate causa a quel bastardo per essersene andato. Un dramma che rilancia l’uomo e la sua possibilità di riscatto, di costruzione, di assoluta speranza.
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(CO)