Dietro Anima di Roberta Nicolai c'è L'anima buona del Sezuan scritta da Bertolt Brecht subito prima e durante la II guerra mondiale. Testo monumentale (la sua durata nell'esecuzione integrale supera le 3 ore) si incentra in Cina (la regione del Sezuan) sul personaggio di Shen-Te, una prostituta che, premiata in denaro dagli dei per essere stata l'unica ad averli disinteressatamente ospitati per la notte (rinunciando a dei clienti), attira una pletora di parassiti e profittatori cui non sa dire di no e si inventa un alter ego, Shui-Ta, un cugino sotto le mentite spoglie del quale sa difendersi dalle esose richieste dei vicini. Anche il marito (un aviatore) in realtà è interessato ai denari e solo nelle mentite spoglie del cugino Shen-Te sa tenergli testa al punto che l'aviatore, ignorando si tratti della stessa persona, accusa Shei-Ta di avere ucciso sua moglie, e lo trascina davanti ai giudici che altri non sono che i tre dei dell'inizio i quali riconoscono le buone intenzioni di Shen-Te permettendole di indossare i panni di suoi cugino non più di una volta al mese...
Tutto il dramma gira intorno a un quesito: come sia possibile essere buoni e vivere lo stesso nel mondo domanda fatta non solo da un punto di vista marxista ma anche da quello del pensiero filosofico di Me Ti un autore classico cinese secondo il quale i comportamenti giusti o ingiusti (i "vizi" e le "virtù") non dipendono da norme e prescrizioni ma dalle condizioni di vita sociali che permettono le virtù o impongono i vizi.
Una questione cruciale che il testo non espone in maniera didascalica ma, al contrario, facendo ricorso a tutta la capacità espressiva del suo autore senza trovare una risposta ma ponendo fortemente la domanda.
Roberta Nicolai che firma progetto, drammaturgia e regia di Anima approccia il testo brechtiano frantumandolo, azzoppandolo per usare le sue stesse parole, chiedendo ai suoi attori di lavorare sul movimento personale in forma di racconto, di narrazione (...) un flusso sonoro che andava abitato d'interiorità segreta, non comunicata né comunicabile.
Un approccio promettente e ricco di possibilità.
5 attori in scena, tre uomini e due donne, che senza soluzione di continuità, si danno il cambio nell'interpretare i personaggi rimasti del testo brechtiano, scarnificato, cancellato, spezzettato: la prostituta, il cugino, l'aviatore, il venditore d'acqua, qualche profittatore, mentre gli dei rimangono come presenza numinosa cui i personaggi (soprattutto il venditore d'acqua) si rivolgono con lo sguardo nel vuoto.
Due microfoni per cantare alcune delle molte canzoni pop (da Madonna a Kate Bush) che permeano lo spettacolo sostituendo quelle altrettanto numerose di Brecht, o per raccontare, commentare quel che accade in scena, rivolgendosi direttamente allo spettatore nel fare glosse o introdurre le varie parti in cui lo spettacolo è diviso. Ma si capisce che le suddivisioni sono aleatorie e fanno parte dell'affabulazione che costituisce la prima cifra dello spettacolo.
Una scena vuota, a parte alcuni abiti appesi che pendono dall'alto (e che alla fine precipiteranno tutti in terra) cinque sedie e alcuni barattoli di vetro che contengono principalmente acqua (compreso un pesciolino rosso sul quale lo spettacolo si chiude, unico elemento illuminato nel finale) nella quale gli attori si muovono mettendosi in gioco a partire dalla propria propria fisicità: i corpi spogliati e (tra)vestiti (quando serve gli uomini da donna e viceversa con i cambi di costume a vista) sudati, pervasi da un flusso di coscienza che li coinvolge tutti in alcune istanze narrative (i personaggi di cui si diceva prima) ma che fa emergere al contempo l'individualità di ognuno di loro. Un impegno notevole nel quale i cinque attori danno tutto di sé convincendo pienamente da un punto di vista performativo, un po' meno da quello drammaturgico.
Nonostante la rarefazione del testo le linee narrative rimangono sempre quelle di Brecht, per chi lo conosce e per chi non, nonostante l'azzoppamento, infatti, la linearità narrativa è mantenuta integra per cui il racconto, per quando sovrapposto, diluito e disperso in una drammaturgia d'attore, mantiene la fisionomia d'origine. E' sempre Brecht a fare il discorso.
Gli attori non contribuiscono con la propria individualità a questo discorso gli azzoppamenti hanno solo una valenza performativa ma non di significato, per cui la messa in scena finisce per essere solo un rumore bianco dal quel il discorso brechtiano emerge a tratti. Performativamente l'operazione è suggestiva e in alcuni momenti di altissima emozione (come quando tutti gli attori/personaggi si pongono con gesto di sfida e di autocoscienza davanti agli spettatori sul finire delle note di Wuthering Heights) ma nulla in più o di diverso viene detto in Anima dei problemi che il testo di Brecht mette in campo: una domanda politica che Anima ignora inconsapevolmente sottraendovisi proprio quando crede di restituirla con un gesto performativo sì emozionante, complesso e di alta difficoltà, ma politicamente muto. Questo è forse il limite più grande di questa messa in scena con tutto rispetto per lo sforzo attoriale che è davvero notevole e non può che essere riconosciuto nella sua valenza.
Visto il
01-12-2009
al
Furio Camillo
di Roma
(RM)