Antigone (un’intensissima Barbara Moselli) sin dalle prime battute mette in atto una cerimonia tragica che rende ancor più inevitabile l’infelice epilogo Sfida apertamente lo zio Creonte Sebastiano Lo Monaco…
L’Antigone di Sofocle da sempre si presta a trasformazioni e reinterpretazioni, pur rimanendo sempre fedele a se stessa. Il suo è un sacrificio, è un destino inesorabile; è l'eroina controcorrente che per non dimenticare il passato, per non piegarsi nel presente, nega il suo stesso futuro.
L’eroina emancipata
Antigone (un’intensissima Barbara Moselli) sin dalle prime battute mette in atto una cerimonia tragica che rende ancor più inevitabile l’infelice epilogo. Sfida apertamente lo zio Creonte (Sebastiano Lo Monaco) che rifiuta di far seppellire il cadavere del fratello Polinice, ucciso dall'altro fratello Eteocle, a sua volta morto nello scontro.
La figlia di Edipo assurge al ruolo di Madonna pagana: piange ma a sua volta si dimena, si oppone al sistema e diventa anarchica. Combatte l’assolutismo, soprattutto maschile, perché è una donna fiera che rifiuta la sopraffazione.
Solitudini opposte
L’opera è un florilegio di contrasti e forti opposizioni. Affronta tematiche sempre attuali: il bene contro il male, il potere e lo strapotere, la Ragion di stato e la ribellione. Nella rilettura odierna, è anche la storia di due solitudini: quella di un re freddo e irremovibile e quella di un’eroina che è disposta a morire per difendere un ideale.
Antigone, lo ammette, preferisce i morti ai vivi ma il suo crimine “sarà sublime”. Il contraccolpo coinvolge altrettante solitudini: Emone (Luca Iacono) ne viene travolto, vano è ogni tentativo di intercedere per la sua promessa, e così la madre che si uccide per il dolore della perdita del figlio. Ismene (Lucia Cammalleri) si salva solo perché è pronta a negare se stessa, accettando passivamente il suo destino (“Considera che siamo nate donne” dice con disperazione alla sorella).
È anche una vicenda dove il potere si contrappone alla ribellione, dov'è la pietas dei giovani è più forte della Ragion di Stato degli adulti, pur piegandola solo con il martirio. Nell’avvilupparsi dell’inesorabile tutti invocano gli dei, compreso Tiresia (un notevole Franco Mirabella) ma nessun deus ex machina interviene per la salvezza. Troppo tardi Creonte realizza: è solo e la città gli crolla addosso.
Azione e relazione
La regista Scignano asciuga il testo, l'azione e la relazione sono privilegiate rispetto alla parola. La scenografia riesce a intrecciare le atmosfere più astratte e visionarie a quelle più concretamente fatiscenti dei palazzi bruciati e segnati da guerra e povertà. Perfettamente in accordo le musiche (prezioso il flauto di incantato di Edmondo Romano), parole-rumori-suoni che si rivelano fondamentali per inseguire l'attenzione e la tensione sul palco.