Una raccolta di appunti per capire cos’è, se c’è, una lotta di classe odierna.
Lo spettacolo, ancora work in progress, ricerca i simboli attuali che possano rimandare ad una ormai sbiadita dimensione dicotomica borghesia-proletariato.
Ci tiene Celestini. Ci tiene a precisare subito che il suo “Appunti per un film sulla lotta di classe” non è uno spettacolo classico, bensì è “proprio quello che dice il titolo”: il riordino di una serie di appunti, presi osservando la vita di un lavoratore precario del call center “Atesia” di Roma.
Il narratore romano si presenta al pubblico, senza alcun tipo di mediazione scenografica, assieme a tre musici (Gianluca Casadei alla fisarmonica, Matteo D’Agostino alla chitarra e Roberto Boarini al violoncello).
Lo stile narrativo di Celestini non si discosta da quello che ha caratterizzato il successo delle sue opere più famose. L’usuale incedere incalzante dell’eloquio
viene qui ad essere incasellato all’interno della struttura musicale che sostiene tutto lo spettacolo, ora dividendo i diversi appunti, ora sottolineandone i collegamenti.
Il racconto è in realtà un susseguirsi piuttosto rapido di frammenti che gettano un cono di luce sia sulle situazioni quotidiane che sulle contraddizioni della società dei consumi. La costruzione sembra quasi cinematografica: l’autore si diverte a prendere per mano lo spettatore e a fargli compiere un viaggio simbolico dal particolare all’universale.
Lo spettacolo si apre con il protagonista che descrive le condizioni del proprio impiego “a cottimo” presso il call center e, di riflesso, la precarietà della propria vita in famiglia. Non è un caso se il fratello del protagonista riesce a dire velocemente le parole al contrario, tanto che sembra riesca a rovesciare anche fisicamente le cose. Pensate cosa accadrebbe se per rovesciare il mondo bastasse dire “odnom”!
In questa fase iniziale i giochi di parole prestano comodamente il fianco alle rapide battute di Celestini e riescono facilmente a far liberare le risate in sala.
Un gatto randagio accolto in casa offre un divertente collegamento ad una parodia dell’attuale società dei consumi, delle pubblicità di colorati prodotti culinari che, una volta ingeriti e soprattutto digeriti, si trasformano comunque in sostanze grossomodo uguali. Perché un Feuerbach delle borgate romane sentenzierebbe che l’uomo è ciò che mangia, ma anche ciò che caga.
Una filastrocca canticchiata da Celestini funge da intermezzo. Le rime si scagliano contro “il denaro che i viventi confonde”, riprendendo una vecchia canzone anarchica e mescolandola con le note di una Internazionale suonata da un carillon, piccolo souvenir simbolo impolverato dal tempo trascorso e, forse, del sogno rattrappito.
Il narratore si diverte e fa divertire grazie ad una lettura antifrastica di sempiterni pregiudizi e di nuove paure: dal fragile status symbol dell’automobile sportiva e potente, alla discriminazione di omosessuali visti come malati e deviati, passando per le comari depresse che bramano riviste e che nel pomeriggio vanno a parlare in televisione.
Solo nel finale ritorna l’esperienza diretta del lavoratore precario che vive con una bomba ad orologeria in tasca: il proprio contratto. La propria invisibilità nel mercato del lavoro, l’essere solo un’ombra, viene esorcizzato dal realismo magico di Celestini che assegna al protagonista la capacità di passare attraverso i muri.
Il racconto è popolato da rimandi ad altri autori, più o meno volontari.
Alcuni brani canticchiati da un Celestini inedito richiamano con forza il genere teatrale, esaltato da Gaber, che interseca il monologo ed il canto sotto la tautologica etichetta del teatro-canzone.
Ad esempio un frammento dedicato ai vecchi palazzoni di periferia, una volta alcove d’amore nei giorni di ferie, ed ora regno di cessi azionati da inquilini invisibili, fa decisamente correre la mente a “E’ sabato” di Giorgio Gaber.
Il lavoro si intuisce comunque espressione di un’esperienza non ancora conclusa, che mette a nudo il teatro di Celestini senza celare le operazioni di ricerca ancora in corso e senza nascondere alcune fresche, e a tratti anche approssimative, costruzioni drammaturgiche.
Appunti per un film sulla lotta di classe
Mira (VE), Teatro Villa dei Leoni
10 Febbraio 2007
Visto il
al
Verdi
di Pordenone
(PN)