Prosa
ARANCIA MECCANICA

La quotidiana ultraviolenza di Arancia Meccanica

La quotidiana ultraviolenza di Arancia Meccanica

Un uomo solo seduto in uno spazio scenico buio, un luogo senza tempo, milioni di fili sopra la sua testa, fili manipolatori, fili come radici, legami, fili-catene che non consentono alcuna libertà di scelta, che non lasciano vie di fuga.

Si apre così “Arancia Meccanica”, prima messinscena teatrale tratta dall’omonimo romanzo di Burgess , sfida affrontata con talento e originalità dal regista  Gabriele Russo.

L’opera è un viaggio nel mondo onirico e straordinario del protagonista, Alex (Daniele Russo), un mondo in cui il confine tra bene e male è evanescente, labile, in cui accadono cose surreali,  le cui conseguenze producono effetti devastanti sulla realtà.

La “quotidiana ultraviolenza”, che rappresenta il punto centrale della struttura narrativa dell’opera, permea ogni aspetto della messinscena. Violento è il Nadsat, linguaggio utilizzato da Alex e dai suoi drughi, una lingua che unisce e rende complici come in un patto di sangue; violenti sono i gesti che si susseguono come in un rallenty, lasciando trasparire l’essenza del male fine a se stesso;  violenta è la musica, affidata a Morgan, un turbine travolgente, capace di distruggere e sublimare ogni emozione, la musica di Ludovico Van, cardine del subconscio del protagonista.

Le scenografie sono inscindibili dalla narrazione, sono uno specchio delle scene che attraversano la mente di Alex, richiamano immagini della realtà trasfigurate attraverso una visione che è soggettiva e collettiva al contempo.

La versione teatrale di Russo, che per molti aspetti  riprende l’omonimo libro, se ne differenzia per una nuova e originale forma di contemporaneità, il mondo di Alex è anche il nostro, le sue domande sulla natura dell’essere umano risiedono anche nel nostro animo, la violenza fine a se stessa è un palliativo, un rimedio per colmare un vuoto senza fondo, l’estremo tentativo di affermare l’ identità.  Il rischio di diventare delle “Arance meccaniche” è forse il monito che  giunge da quest’opera, la libertà di scelta è la migliore cura per rendersi immuni dalla perdita del senso di sé.

Visto il 05-04-2014
al Bellini di Napoli (NA)