Genova, teatro Carlo Felice, “Ariadne auf Naxos” di Richard Strauss
ARIANNA IN UN QUADRO DI MAGRITTE
Ariadne auf Naxos sviluppa alcune premesse poste dal Rosenkavalier, realizzando, attraverso una drastica riduzione dell'orchestra (una trentina di strumenti trattati per lo più solisticamente), un tono leggero, ironico e buffonesco, che tuttavia si spinge nel tragico. Ed è proprio il convivere di comico e drammatico, come di verità e finzione, che ne fa un capolavoro. Da considerare il momento in cui l'opera fu scritta, quel periodo in cui l'Austria era alla fine dell'Impero e tutte le certezze vacillavano, comprese quelle interiori, complici le nuove teorie freudiane. Strauss ed Hoffmanstahl guardano al passano ma con una sensibilità già pienamente novecentesca ed il gioco del teatro nel teatro altro non è che un modo per approcciarsi alla vita e indagarla nelle pieghe più recondite.
L'argomento è tratto dal Borghese gentiluomo di Molière e, nella versione del 1916 (la seconda) in scena al Carlo Felice, la vicenda è condensata in un prologo e in un atto. Nel prologo si assiste ai nervosi preparativi per la messa in scena di Ariadne auf Naxos in casa di un ricco borghese nella Vienna del Settecento. Segue l'atto unico. Nell'isola di Nasso Arianna è stata abbandonata da Teseo (dopo che lo aveva aiutato ad uscire dal labirinto in cui era rinchiuso il di lei fratello Minotauro grazie al proverbiale filo) ed è invano confortata dagli scherzi di Arlecchino, Zerbinetta ed alcuni pagliacci. All'arrivo di Bacco Arianna chiede di essere scortata agli inferi alla ricerca dell'amato Teseo ma Bacco, innamoratosi di lei, la trasporta con sé nell'Olimpo.
Lo spettacolo di Philippe Arlaud (nuovo allestimento coprodotto con Atene e Oviedo) sposta l'azione ai giorni d'oggi e insiste nel mostrare il lato metateatrale, soprattutto nel prologo, con i camerini del teatro visti da fuori e da dentro e una folla di comparse, tecnici e pompieri. Però non rende il senso della storia, quella profondità nella superficie in cui c'è tutto Strauss-Hoffmanstahl, quel percepire la decadenza inevitabile della mitteleuropa quasi con compiacimento. Arlaud è autore anche delle scene magrittiane, impostate su due strutture semicircolari affrontate che ruotano. Poltrone volanti appese alle scene, un simbolico campo di grano sullo sfondo di abeti, una corazza dorata e il filo di Arianna che sembra un cordone ombelicale. Scene però poco fascinose, tranne nel finale, con il mare azzurro sullo sfondo e le labbra rosse che scendono dall'alto.
Strauss e Hoffmanstahl impongono due piani, nel prologo realtà e finzione, nell'atto commedia dell'arte ed opera lirica. Qui alcuni momenti sono addirittura fastidiosi, ad esempio quando i pompieri interrompono l'aria di Arianna con un rumoroso “Ah!”, oppure lo srotolare sul letto un cordone rosso (il filo di Arianna?). La regia appiattisce la storia senza evidenziarne gli spunti divertenti; manca lo spirito dei tempi, l'atmosfera e l'ironia che, pur in un altro contesto storico, deve essere mantenuto per rendere giustizia all'originale.
La giovane Oksana Dyka è un’Arianna dalla voce adeguatamente importante ed estesa per reggere gli affondi nel grave come le volate nell’acuto, ma si avverte la mancanza di una maturità interpretativa e stilistica per tradurre tutte le sfumature e modulazioni necessarie per la giusta definizione del ruolo, reso senza le finezze madreperlacee straussiane.
Assolutamente perfetta per agilità vocale e caratterizzazione la Zerbinetta di Elena Mosuc, capace di catalizzare l’attenzione per il virtuosismo disinvolto, l’autoironia e l’umano disincanto di un personaggio che dietro l’apparente frivolezza è emblematico di una società giunta al tramonto. Nell'edizione londinese per la regia di Christof Loy da noi recensita Arlecchino (un bravissimo Markus Werba) seduce Zerbinetta e poi la “scarica”, lasciandola sola e abbandonata a lato della scena come un'Arianna a Nasso; qui invece accade il contrario: è Zerbinetta che se ne va con un tipo appena conosciuto e abbandona Arlecchino, che si accascia a lato della scena come una marionetta senza fili. La contrapposizione è efficace: Arianna è la donna che ha amato una sola volta nella vita, Zerbinetta è la donna dai tanti amori (e dalla sconfinata solitudine).
Elena Belfiore è un Compositore intenso e tormentato dalla voce controllata e sicura, anche se una vocalità più scura, oltre a meglio risaltare nel confronto con Zerbinetta, avrebbe tradotto con maggiore immediatezza l’esaltazione sensuale e languida dello sfuggente personaggio en travesti.
Nell’ardua (e davvero ingrata) parte di Bacco non convince Warren Mok; la voce è vacillante e le difficoltà d’intonazione non sono compensate da doti timbriche o di fraseggio.
Ad eccezione del discreto Arlecchino di Enrico Marrucci, le parti di fianco sono piuttosto modeste: particolarmente debole il Brighella di Thomas Morris, Mario Bolognesi è Scaramuccio e Carlo di Cristoforo Truffaldin. Vesselin Stoykov è un Maestro di musica autorevole; meno caratterizzato il Maestro di danza di Luca Casalin. Franz Tscherne scandisce con dizione sicura la parte recitata di un odioso Maggiordomo, severo e prepotente. Discreto il trio delle ninfe, abbigliate come tre identiche sirene, fra cui si distingue l’Eco di Laura Clerici; Naiade è Susanna Kwon mentre Raffaella Zardi è Driade. Con loro Enzo Peroni, Dario Giorgelè e Giovanni Bellavia.
Assolutamente convincente, forse il punto di forza dello spettacolo, la lucida direzione orchestrale di Juanjo Mena, fedele al ridotto organico voluto da Strauss e al suo ideale di leggerezza vibrante priva di manierismi e affettazioni. Ed è proprio grazie alla direzione che l’orchestra del Carlo Felice, non abituata a questo repertorio, trova sonorità se non sontuose, nitide e ben articolate, adatte per restituire il fluire teatrale e la finezza estrema di Strauss e Hofmannstahl.
Pochi spettatori, alla fine applausi soprattutto per Elena Mosuc e Juanjo Mena. Certo un'occasione persa per il pubblico, visto che Ariadne era in pratica un debutto a Genova, essendo stata rappresentata in precedenza una sola volta nel 1964. Spiace constatare lo scarso interesse del pubblico italiano per il repertorio del Novecento, anche quello di importanza capitale (Janàcek alla Scala e Strauss al Carlo Felice).
Visto a Genova, teatro Carlo Felice, il 20 febbraio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI con la collaborazione di Ilaria Bellini
Visto il
al
Carlo Felice
di Genova
(GE)