Lirica
ARIANE ET BARBE-BLEUE

Torino, teatro Regio, “Ariane…

Torino, teatro Regio, “Ariane…
Torino, teatro Regio, “Ariane et Barbe-Bleu“ di Paul Dukas LA RIVINCITA DI ARIANNA Ariane et Barbe-Bleu di Dukas, opera rara a lungo assente dal panorama teatrale e poco frequentata a livello discografico, è stata ora rappresentata, in occasione del centenario, a pochi mesi dalla produzione dell’Opéra Bastille (già recensita nel sito in sezione “Estero”), al Regio di Torino in un nuovo allestimento. L’opera è tratta da un testo di Maeterlinck che concepì il ruolo di Arianna per la compagna, la volitiva cantante e attrice Georgette Leblanc, musa ispiratrice decisiva per la caratterizzazione del personaggio. Questo dramma conclude la fase del teatro di Maeterlinck dominata da eroine deboli e crepuscolari: Ariane è una persona libera e padrona di sé, femminista ante litteram, che vuole diffondere luce e libertà, infrangendo il divieto per la conoscenza. In questo “monodramma” , una sorta di monologo con delle deboli intermittenze esterne (che sembrano quasi flussi di coscienza), ricco di aforismi programmatici (“Tout ce qui est permis ne nous apprendra rien” , “le bonheur que je veux ne peut vivre dans l’ombre”), Ariane è protagonista assoluta mentre il succube Barbe Bleu ha un ruolo marginale e, in un rovesciamento del mito di Arianna, verrà alla fine abbandonato. La regista Danielle Ory adotta una messinscena atemporale, peraltro giustificata dalla voluta mancanza di datazione da parte di Maeterlinck, per accentuare la portata universale e “mitologica “ della vicenda. La regia è essenziale, ma fedele al libretto e coglie lo spirito dell’opera: suggerire e alludere senza descrivere. Lo spettacolo, dopo un inizio noioso, cattura progressivamente l’attenzione dello spettatore in un percorso enigmatico e iniziatico di glorificazione della luce. Ariane apre le porte scoprendo pietre sempre più preziose e lo sfavillio delle gemme trova corrispondenze nella scrittura orchestrale iridescente: quando fa entrare la luce per illuminare/rianimare le cinque mogli le variazioni orchestrali suggeriscono un’associazione percettiva di suoni e colori, musica e luce. Sinestesia però poco sfruttata nella grigia scenografia di Philippe Fraisse, un castello stilizzato disposto a emiciclo con spalti praticabili, dalla brutta architettura spigolosa con pareti che sembrano lame per rispecchiare la violenta psiche del tiranno. Le porte sono fenditure che diffondono luce e colori, la settima porta è una botola sul pavimento da cui proviene il canto, lieve e misterioso, delle mogli prigioniere. Le mogli spaurite emergono dalla penombra del sotterraneo come creature a lungo tenute in ostaggio, scalze, spettinate, dalle vesti stracciate e dai gesti alienati, in contrapposizione ad Arianna che sembra una dea greca ammantata di forza, luce e bellezza. Toccante il momento dell’addio, quando Ariane abbandona il castello attraverso un varco richiuso da Barbe Bleu con evidente dolore e anche le mogli abbandonano la scena svanendo nelle fenditure illuminate che ne proiettano le grandi ombre oscillanti. Barbe Bleu rimane solo nel buio castello, sarà un uomo diverso dopo aver conosciuto l’amore? L’ardua parte della protagonista è stata sostenuta con impegno da Kristine Ciesinski. La cantante ha un buon registro centrale, anche se talvolta un po’ “allargato” per ovviare alle difficoltà previste dai frequenti cambi di registro della tessitura e si avvertono forzature negli acuti e nel canto spianato. A livello interpretativo domina la scena, illuminandola di una presenza dolce e decisa. Efficace Marcel Vanaud nella se pur breve parte di Barbe-Bleu. Nadine Denize è una nutrice dalla voce profonda ma non impeccabile. Vocalmente adeguate tutte le mogli, in particolare Sophie Pondjiclis/ Sélysette e Daniela Schillaci/ Ygraine, figure tristi e umbratili impregnate di simbolismo . Il giovane direttore Emmanuel Villaume offre una lettura ricca di sfumature e restituisce la componente ipnotica e cromatica non sufficientemente valorizzata a livello visivo. Momenti di raffinato impressionismo orchestrale, in cui affiorano in filigrana i singoli strumenti evocativi delle diverse atmosfere, si fondono con pagine chiaroscurate di ampio respiro wagneriano. Ottima la prova dell’orchestra e del coro del teatro Regio preparato da Claudio Marino Moretti. Mentre la produzione dell’Opéra Bastille, animata da maggiore originalità, si allontanava dal tema chiave focalizzandosi su aspetti correlati ma non sostanziali (il labirinto, l’indagine, la scoperta), la produzione torinese nella sua essenzialità riesce a fare passare il messaggio ma non il fascino di quest’opera enigmatica ed evanescente. Visto a Torino, teatro Regio, il 25 novembre 2007 Ilaria Bellini
Visto il
al Regio di Torino (TO)