Riferirsi agli spettacoli di Lella Costa come a dei monologhi ha qualcosa di limitante per quella implicazione che ogni monologo ha in sé insistendo nella finzione teatrale di un attoreinterprete che parla da solo come se non ci fosse un pubblico ad assistere alla rappresentazione.
Lella Costa però rompe subito questa convenzione e non solo perchè si rivolge direttamente ai suoi spettatori ma perchè imbastisce con loro un discorso sotterraneo e implicito che diventa il sottostesto di un comune sentire.
Un sentire che guarda con occhio critico al mondo inserendosi lì dove lo scarto culturale prima ancora che di genere le fa commentare modi di pensare, comportamenti e cliché. Scarto culturale perchè il punto di vista di Lella Costa non è banalmente quello di una donna ma un punto di vista critico, dove critico vuol dire consapevole che gli strumenti coi quali guardiamo al e interagiamo con il mondo, cioè le parole ma anche i modelli interpretativi coi quali a partire da esse ci spieghiamo e rappresentiamo il mondo, sono socialmente determinate e sono frutto di una cultura storicamente determinata che è da sempre declinata secondo i tratti distintivi dei rapporti di forza patriarcali. Non un discorso da donna e per donne (che in platea ai suoi spettacoli gli uomini non sono mai mancati) ma un punto di vista che parte da un presupposto altro che non sia quello incancrenito del maschilismo fallocentrico che Lella Costa neutralizza con una sana dose di (auto)ironia e con precisione logica, storica, politica (nel senso della vita nella città) ed etica.
E mentre imbastisce i sui ragionamenti, i discorsi nei quali illumina da altri punti di vista il nostro quotidiano vivere e agire il suo acume critico non si traduce mai in dogmatismo: Lella Costa deostruisce certezze insinuando elegantemente il dubbio senza sostituire le maschili monolitiche certezze con altre certezze altrettanto eternamente date. Questo è uno dei tratti salienti di tutto il suo teatro: il suo lavoro artistico e politico o, se preferite etico, è squisitamente laico e antidogmatico sottraendosi alle prese di posizione ideologiche senza disertare le presa di posizione là dove servono, riportando quelle della della propria vita che valgono dunque come testimonianza e non come regola normativa, che costituiscono un esempio di messa in in relazione. Un teatro fatto con una straordinaria capacità di navigare a vista nel mare immenso della cultura di massa, tra canzoni, televisione e letteratura declinate con citazioni precise e scientifiche tra testi, autrici (e autori) che Lella Costa adopera con la disinvoltura della libera pensatrice stabilendo una pratica critico-discorsiva che in quanto cittadine e cittadini nel mondo ci ispira tutte e tutti.
Così quale migliore occasione di questo splendido Arie, un regesto di alcuni momenti dei suoi spettacoli passati, per confrontarsi con l'eleganza di un pensiero che non è mai banale ed è smepre intellettualmente onesto?
Senza prendersi troppo sul serio ma parlando seriamente Lella Costa entra in scena cantando I Need Your Love di Bucharach in una funambolica traduzione simultanea del testo inglese che diventa un mantra del rapporto tra attore e il suo pubblico, un attore che ha bisogno di essere amato e confermato, ha bisogno di piacere e di essere voluto. Così, esacerbandolo con grazia, Lella Costa disinnesca subito il rischio di narcisismo cui ogni performer incappa (e che vede spesso tante vittime illustri) ogni volta che si rivolge a una platea e le dice guardami ascoltami amami. Entrando subito in contatto informale col pubblico e spiegando il perchè di questo spettacolo che nasce dal premio Una vita per la musica, ricevuto dal Conservatorio di Milano lei che non ha mai cantato siamo senza accorgercene già dentro il suo fare teatro che parte sempre da una curiosità civile, Lella Costa si chiede e dunque ci chiede, per esempio, come sia possibile che ancora oggi gli uomini paghino le donne per il sesso quando la funzione sociale della prostituzione è stata sorpassata dalla libertà dei costumi contemporanea oppure scherza sulla furbizia con cui il maschio, adducendo la maternità come scusa, ha sottratto il potere alla donna, commentando per celia che tanto presto la supremazia del maschio finirà visto che il cromosoma Y si sta destabilizzando (secondo un vero studio dell'antropologo Steve Jones, Lella Costa non inventa mai nulla...) oppure può interrogarsi sul senso della memoria non tanto quella dell'attore ma quella storica che difetta oggi a tutti quanti (e che è uno dei fili conduttori dello spettacolo). Oppure ragionare sui giochi di potere che ogni madre più o meno volontariamente fa coi propri figli, con una lucidità e una leggerezza commoventi riuscendo ad andare in profondità nelle insidie perfide del ricatto materno senza però infierire o accusare perchè ogni madre è stata prima una figlia.
Tra Paolo Conte e l'amatissimo Tom Waits tra un testo di De Andrè a Nietzsche che disse che la vita senza musica è un errore, con una curiosità onnivora ma coerente Lella Costa affabula, incanta e (si) commuove come quando racconta del suo impegno ai tempi della legge Basaglia per la liberazione, letteralmente, dei cosiddetti matti e diventa chiaro che accanto al teatro canzone di Gaber questo teatro di parola, una parola musicale, ritmata proprio come le ha riconosciuto il conservatorio di Milano nel premio insignitole si annovera il teatro dialogico di Lella Costa che corrobora le menti impigrite e le coscienze malinconiche con un agire concreto e costante, senza declamazioni o vanti, che testimonia con la propria esistenza la possibilità di un modo altro di essere, qui e ora, sul palco di un teatro per Lella Costa che ne ha fatto ragione di vita e qui e ora ovunque noi siamo, per tutti quegli spettatori che, come lei hanno ancora il vizio pensare.
Prosa
ARIE
Il teatro <i>civile</i> di Lella Costa
Visto il
01-02-2012
al
Vittoria
di Roma
(RM)